Mattarella e i soldi per le mine anti persona
Le mine antipersona, così come le bombe a grappolo, continuano ad uccidere e le industrie che le producono sono finanziate dalle banche, anche italiane. Esiste il trattato di Ottawa del 1997 per la loro abolizione ma 34 Paesi non vi aderiscono, tra cui Usa, Cina, Russia, India, Israele, Egitto, Pakistan e Arabia Saudita.
Con una legge approvata in maniera unanime in Parlamento nel 2017, dopo un lungo periodo dalla sua presentazione nel 2010, sembrava che il nostro Paese avesse adottato finalmente uno strumento in grado di ostacolare le banche e le istituzioni finanziarie che continuano a dare soldi ai produttori degli strumenti di morte in grado di infestare mezzo mondo.
Ma al momento della firma, Sergio Mattarella si è accorto, da esperto giurista, che il testo della norma avrebbe potuto esonerare dalle più gravi responsabilità penali proprio i vertici delle banche e delle istituzioni finanziarie. Insomma “fatta la legge trovato l’inganno” come dice il detto popolare. Sennonché stavolta è intervenuto, in maniera straordinaria, il presidente della Repubblica che ha rimandato la legge alle Camere (unico caso sotto la sua presidenza) per essere corretta all’articolo 6.
Il Senato ha impiegato quasi 2 anni per recepire le indicazioni del Quirinale sanando il vulnus costituzionale aggiungendo le parole “Salvo che il fatto costituisca reato” al sopracitato articolo 6 e apportando una piccola specifica richiesta dal ministero degli Esteri tesa a chiarire il permesso di importazione per aiutare Paesi terzi alla distruzione dello stock, come previsto dalla Convenzione di Oslo.
Alla Camera, dove arriva il 30 aprile 2019 in Commissione Finanze in sede referente, il testo rimane bloccato sino a settembre 2020, colleziona ben 8 pareri favorevoli dalle Commissioni interpellate per poi fermarsi nuovamente in commissione Bilancio in attesa di una relazione tecnica utile al parere che il ministero dell’Economia è tenuto a rilasciare entro 30 giorni, secondo la legge 196 del 2009, ma che è stata presentata solo dopo 12 mesi.
Non è questione di lentezza burocratica ma di rilievi e obiezioni tecniche che il sottosegretario all’Economia, Federico Freni, tecnico indicato dalla Lega al posto di Durigon, ha ribadito l’8 novembre durante la discussione sulle linee generali sulla legge ormai che contiene “Misure per contrastare il finanziamento delle imprese produttrici, di mine anti persona, di munizioni e submunizioni a grappolo”.
Freni ha messo in evidenza i costi amministrativi non previsti richiesti dalla procedura di controllo delle banche e ha sollevato perfino un conflitto di competenze in materia tra ruolo della Banca d’Italia e Banca centrale europea. Obiezioni che hanno fatto insorgere la reazione del relatore della legge, Massimo Ungaro di Italia Viva, davanti all’indicazione di costi del tutto trascurabili per definire «una lista di esclusione di emittenti attivi nella produzione di mine antiuomo o munizioni a grappolo» che «può anche avvenire agevolmente tramite ricorso ad InfoProvider».
In maniera più esplicita il deputato di Forza Italia, Alessandro Battilocchio, ha affermato, nel corso della discussione, come appaia «chiaro che Banca d’Italia, Ivass (L’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni) e Covip (Commissione di vigilanza sui fondi pensione), non hanno propriamente intenzione di assumersi il ruolo di controllori dell’applicazione della legge sia in termini di costi che in termini di attribuzione di nuovi compiti».
Nessuno, ovviamente, si dice contrario alla legge che colpisce i finanziatori delle società che producono mine antiuomo e bombe a grappolo ma si fanno valere problemi “tecnici” che stranamente non sono emersi nella fase di approvazione della legge che Mattarella si è rifiutato di firmare nel 2017.
Alla fine la relazione tecnica del ministero è arrivata in commissione Bilancio che il 10 novembre ha dato parere positivo alla legge che potrebbe andare in aula, per l’approvazione definitiva, entro la prossima settimana e cioè entro il 4 dicembre riconoscendo, inoltre, che non esistono costi a carico dello Stato.
Ma il cammino non è affatto lineare. Come ci ha detto Giuseppe Schiavello, responsabile italiano della Campagna antimine, esiste un «forte disagio e preoccupazione per come è stato ostacolata questa proposta di legge, che dopo aver aspettato 12 mesi una relazione tecnica imbarazzante piena di “probabilmente”, “astrattamente”, “sembrerebbe” è stata preceduta da un tardiva proposta con emendamenti in cui vengono escluse le Fondazioni Bancarie (investitori istituzionali) e si autolimitano poteri di vigilanza».
Come sottolinea Schiavello non ci sono più ragioni per ritardare la «discussione e il voto definitivo dopo che il relatore della legge, nella seduta di aula della Camera dell’8 novembre, ha dimostrato la pretestuosità e l’infondatezza dei rilievi tecnici e dopo il parere positivo emesso il 10 novembre
alla commissione Bilancio» a conferma che «contrariamente a quanto sostenuto per 12 mesi dal ministero Economia e autorità di vigilanza non esistono costi aggiuntivi a carico dello Stato, così come già evidenziato da viceministro Morando nella precedente legislatura, per la medesima Proposta di legge in seno alla stessa Commissione».
Al di là quindi del dibattito sul toto Quirinale che impazza in questi giorni, si tratta di capire in che modo l’esecutivo di larga maggioranza guidato da Mario Draghi, indicato dallo stesso Mattarella, si dimostrerà davvero di così “alto profilo” da seguire la direttiva esplicita del presidente della Repubblica così come ribadita nel 2018, nel messaggio inviato nella giornata Onu contro le mine anti persona: «rinnovo infine l’auspicio che il Parlamento italiano possa giungere presto a una nuova deliberazione legislativa, coerente con i principi costituzionali, per contrastare con efficacia anche il sostegno alle imprese produttrici di mine anti-persona e di munizioni a grappolo».