Mattarella: No al consumo indiscriminato del territorio
Quarantotto ore di pioggia. Ininterrotta. Incessante. E ancora una volta un fiume che straripa. Accade in Sicilia, nell’estremo lembo occidentale.
Stavolta è accaduto al fiume Mazaro, che attraversa la città marinara per sfociare nel Mare Mediterraneo. Le acque del fiume hanno invaso la città e le case ai piani bassi si sono allagate. I residenti sono stati costretti a salire sui tetti o ai piani superiori. Danni anche per la marineria (Mazara del vallo è il maggiore porto peschereccio siciliano): alcune barche ormeggiate nel porto canale sono affondate, altri natanti hanno subito danni. Si dovrà fare i conti, anche in questo caso, con i problemi di un comparto che già sopravvive tra mille difficoltà.
Sono caduti oltre 80 mm di pioggia: un dato pesante. Ma ormai accade sempre più di frequente. Colpa – si dice – dei cambiamenti climatici e quindi anche dell’uso sfrenato e non corretto delle risorse del paese. E questo è un dato su cui riflettere.
Ma, probabilmente, bisognerà riflettere anche su un altro piano. L’emergenza non è più emergenza, rischia di diventare “normalità”. È triste dirlo, ma bisogna fare i conti con i dati reali.
È stato detto e non sarà mai ripetuto abbastanza: manca la manutenzione dei fiumi, manca la cura di un territorio, quello italiano, che è ad alto rischio idrogeologico.
Nel caso del fiume Mazaro, la vicenda rischia di sembrare paradossale. C’è un progetto che da anni attende di essere sbloccato. E l’attesa prolungata ha creato tutto questo. Il presidente della Regione, Nello Musumeci, usa parole forti. «Questa vicenda del fiume Mazaro ha dell’incredibile – ha dichiarato -. Ho appena saputo che la pratica per i lavori al porto canale si trascina da anni, fra mille lacci e lacciuoli. A volte penso che sia più facile in Sicilia sconfiggere la mafia che certa burocrazia. Ho chiesto di avere dettagliate relazioni dall‘ufficio del Genio civile e dal dipartimento regionale Territorio e ambiente e capire se emergono responsabilità a carico di qualcuno. In ogni caso, i lavori vanno avviati nel più breve tempo possibile».
Un monito arriva anche dal presidente della Repubblica. Sergio Mattarella si trovava a Biella per ricordare, in quella città, le 58 vittime dell’alluvione del novembre 1958: esattamente 50 anni fa. Il capo dello Stato ha ripercorso con il pensiero la situazione di un intero paese martoriato, nel Veneto, a Genova, in Calabria, in Sicilia, dove, appena pochi giorni, si sono versate lacrime per le vittime del maltempo (nove nella villetta di Casteldaccia). «La strada – ha detto Mattarella – non è quella della cementificazione degli ambiti naturali, dell’indiscriminato consumo dei suoli. Abbandono e incuria del territorio non possono farla da padroni e aggravare, così, le conseguenze di eventi calamitosi sempre più frequenti». Ed ha aggiunto: «Limitarsi a evocare la straordinarietà di fenomeni che si ripetono con preoccupante frequenza per giustificare noncuranza verso progetti di più lungo periodo, è un incauto esercizio da sprovveduti».
Le parole arrivano dalla più alta carica dello Stato e, per la Sicilia, dal governatore isolano. I due viaggiano nella stessa direzione. Gli allagamenti, gli acquazzoni, le bombe d’acqua, non sono un’emergenza. Bisogna prepararsi ad affrontarli liberandosi dalle lungaggini di burocrazie elefantiache, di organi dello Stato che talvolta non riescono a coordinarsi.
Ci sono anche le difficoltà economiche, che non hanno favorito gli investimenti. Ma ora si comprende che la salvaguardia del territorio non è più un optional. È una priorità.