Mattarella, la coerenza di una vita
Gratitudine perché in ogni circostanza sapevamo di poter contare su di lui: nell’arena pubblica nazionale, spesso turbolenta, c’era sempre e comunque un punto saldo su cui contare, una persona che vegliava e vagliava. Persino i miei nipotini, peraltro indifferenti ai personaggi politici, scorgendolo nei servizi televisivi, lo indicavano ogni volta come un amico. E ne abbiamo avuto la riprova in questi giorni: quanti attestati di fiducia…
Fiducia è la seconda parola che viene in mente grazie al suo modo gentile e fermo, alla sua presenza invisibile quando necessario, ma coerente nel difendere sempre, con mano ferma, le istituzioni se erano in pericolo.
Anche prima di questi sette anni, nella sua lunga vita politica, la traiettoria è sempre stata diritta, senza sbavature, segnata dalla coerenza e dal coraggio.
Quando, sulla sua credibilità di docente di diritto costituzionale e parlamentare, aveva accettato di ricostruire, dentro la DC dove militava, il collegio dei probi viri, ricostituito in fretta alla fine dell ’81 a seguito dello scandalo P2, e l’istituzione della Commissione parlamentare d’inchiesta, presieduta dall’on. Tina Anselmi, sua grande amica.
Quando, nel ‘82, assunse, di fronte a delitti politici sempre più efferati per mano della mafia, il ruolo di commissario della DC, e impose, con coraggio, la condizione di cambiare le regole del congresso celebrato di lì a poco. Impose liste contrapposte e soglia di sbarramento che posero fuori dalla rappresentanza negli organi direttivi la piccola potente corrente dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, ritenuto contiguo ad ambienti mafiosi.
Quando, al governo da un mese, si dimise dall’incarico di ministro del sesto governo Andreotti (‘89/’91), insieme ad altri esponenti della sinistra democristiana per protesta contro la fiducia ad una legge che riconosceva la condizione di duopolio – RAI, Gruppo Fininvest di Berlusconi – legittimando per legge l’esistente.
Ma dove affondano le radici di questo uomo politico giusto? Su tre pilastri: l’ispirazione evangelica, il rapporto con il fratello Piersanti, i valori costituzionali.
Ricordo la prima volta che l’ho incontrato: ero stata eletta da qualche giorno in Parlamento ed un padre gesuita, Paolo Bachelet, mi invitò a parlare nella cappella universitaria a dei giovani universitari della Sapienza sull’impegno dei cattolici in politica. Era la mia prima uscita pubblica fuori Trento, da parlamentare. L’altro ospite era lui. Fu di una gentilezza e di una delicatezza squisita nei miei confronti, sconosciuta peones, mettendo in luce quanto dicevo, esprimendo tutta la sua ammirazione per Chiara Lubich, la fonte che aveva ispirato il mio impegno politico fin da ragazza.
Lui parlò con limpidezza di quanto fosse importante, per il suo impegno, l’ispirazione evangelica, mediata da un costante approfondimento culturale e dalla attenzione all’esempio dei tanti cattolici che lo avevano preceduto a cominciare da coloro avevano scritto il Codice di Camaldoli che sentiva ispiratori.
Da Presidente accettò di scrivere, facendo un’eccezione – egli stesso lo scrisse in una lettera autografa – alla prassi presidenziale, la prefazione al libro di Alberto Lo Presti su Igino Giordani, perché riteneva fondante il suo esempio. Una frase di quella prefazione descrive bene cosa significhi per lui, profondità di impegno cristiano e necessità di una laicità in continuo dialogo in vista di un impegno per la giustizia: «Una fede esigente, e tuttavia non integralista, non ostile all’incontro, alla ricerca del bene comune, all’affermazione del metodo democratico, all’impegno il più possibile corale, comunitario per ridurre le diseguaglianze e far crescere la fraternità.»
C’è uno scatto fotografico che fissa il profilo del nostro Presidente. È il 6 gennaio dell’80, Mattarella è sul fianco della FIAT 132 del fratello maggiore Piersanti e ne raccoglie in grembo la testa e il corpo crivellato di colpi di pistola. “Delitto politico-mafioso” lo avrebbe definito Falcone. Pietro Grasso, nel libro “Per non morire di mafia”, scrive di Piersanti: «Stava provando a realizzare un nuovo progetto politico-amministrativo, un’autentica rivoluzione… aveva turbato il sistema degli appalti pubblici con gesti clamorosi, mai attuati nell’isola». Nel 2013, in una lunga e profonda intervista, che gli facemmo con un gruppetto di giovani universitari, definì questa sua profonda radice ideale. Era, allora, giudice della Corte Costituzionale. Gli avevamo chiesto di parlarci dell’impegno democratico nelle istituzioni. «Dopo l’uccisione di Piersanti mi sono impegnato nel tenere unito un gruppo di giovani che erano vicini a mio fratello. Erano giovani e per evitare che si perdessero ho iniziato a farli venire nel mio studio. Questo inevitabilmente mi ha portato, senza rendermene conto, a cominciare casualmente ad occuparmi di politica direttamente. Ero molto legato a mio fratello, eravamo molto vicini e lo aiutavo nelle riflessioni… E in una condizione di rapporto così intenso, questo ricordo rimane ancora adesso sempre in sottofondo e mi condiziona molto nelle scelte, negli atteggiamenti, nei rapporti: c’è sempre il pensiero di cosa avrebbe fatto mio fratello e l’impegno particolare sulle cose per cui lui è stato assassinato: la legalità e l’impegno contro la criminalità e la mafia e poi… una condizione di vita politica più rispondente alle aspirazioni iniziali.»
Il suo primo incarico universitario fu l’insegnamento di diritto costituzionale, ma il suo attaccamento ai valori costituzionali non è solo di tipo dottrinale. Un segno inequivocabile: la sua prima uscita presidenziale fu alle Fosse Ardeatine. Non fece dichiarazioni, ma l’atto fu chiarissimo: un’autentica coscienza popolare nazionale si basa sulla memoria di ciò che è democrazia contro ciò che non lo è. La parola più usata nei suoi tanti discorsi, sia alla nazione che ai cittadini che in questi 7 anni ha incontrato, è stata comunità, la sua visione del Paese come comunità, da costruire – come ha messo in luce in un suo discorso nazionale, il 5 marzo 2020 – «con la concordia, con la condivisione, con l’unità di intenti».
Un’ultima annotazione. Spesso sento dire che in politica fa carriera solo chi sa galleggiare, chi cambia con opportunismo a seconda del vento. Bene: non è vero! Il Presidente uscente Mattarella e il compianto David Sassoli lo stanno a dimostrare.