Matrimoni misti in aumento. Opportunità o rischio?
Nel panorama di un’Italia che cambia rapidamente e che sta diventando giorno dopo giorno sempre più multietnica, multiculturale e multireligiosa, un aspetto che sta assumendo un carattere sempre più significativo è quello dei matrimoni misti.
Nel 2013 ne sono stati celebrati o, comunque, si sono formate 18.273 famiglie con due partner di religione diversa. In Europa nello stesso anno una unione su 12 è stata mista, con Svizzera e Lettonia a guidare la classifica e la Romania a chiuderla in coda, tenendo conto che, tuttavia, i rumeni contraggono matrimoni con partner di altra religione o denominazione cristiana fuori della loro patria.
Quando si tratta questo argomento, sono necessarie precisazioni di termini, in quanto la parola “misti” comprende una notevole varietà di possibilità. A fronte di matrimoni fra partner di etnie e culture diverse, sta crescendo sempre più il numero di unioni fra persone di credo diversi. La questione è di quelle che, nonostante i freni e i deterrenti spesso suggeriti o anche imposti, sono continuate a crescere e a interrogare la società italiana per le sue implicazioni sociali e giuridiche, oltre che i diversi ambiti religiosi. Si tratta, in effetti, di trovare adattamenti funzionali ed efficaci sia a livello sociale e amministrativo, ma anche nell’ambito religioso.
Infatti, il matrimonio misto è da sempre una delle chiavi di integrazione sociale, etnica e culturale. È, con tutta probabilità, la conseguenza immediata più normale di incontri di popoli e persone di etnie, culture e religioni diverse. Ma è anche un efficace deterrente contro la xenofobia. Negli anni Cinquanta, il matrimonio misto che faceva guardare con sospetto certe coppie era quello fra gli italiani del Nord e quelli del Sud, io stesso sono nato in una famiglia di questo tipo e, guardando a ritroso, non posso non ammettere che è stata una grande ricchezza.
Come, tuttavia, fanno notare molti, i rischi aumentano quando le unioni avvengono fra culture e religioni diverse. Il vecchio adagio – moglie e buoi dei Paesi tuoi – diventa qui un cavallo di battaglia di coloro che, per esperienza vissuta, ritrosia alla novità e radicamento nella propria cultura e fede, guardano con sospetto alla possibilità dell’incontro di due fedi religiose sotto lo stesso tetto.
La delicatezza dell’argomento è emersa con tutta la sua complessità in occasione di un interessante dibattito tenutosi, nei giorni scorsi, presso la Sala del Refettorio della Camera dei Deputati, dove, alla presenza di una sessantina di persone, tutte assai qualificate, leader religiosi e uomini e donne delle istituzioni si sono alternati per dare voce a quanto le diverse fedi pensano al riguardo.
"Unioni e matrimoni misti – La convivenza possibile fra persone di culture e religioni diverse", questo il tema dibattuto, che ha messo in evidenza come riflettere sui matrimoni misti non possa prescindere dalla necessaria preservazione dell'identità culturale e confessionale di entrambi i coniugi. È stato interessante e rivelatorio il fatto che, sia pure con tonalità diverse, tutte le tradizioni religiose guardino con timore alla possibilità che i rispettivi seguaci possano contrarre matrimonio o una unione con persone di altre tradizioni religiose.
Riccardo di Segni, rabbino capo della comunità di Roma, ha sottolineato senza mezzi termini come la famiglia resti il punto di trasmissione della tradizione, culturale e religiosa dell’ebraismo, e ammettere la possibilità di un matrimonio con un partner di altra fede, soprattutto se questo è la madre, significhi instaurare un meccanismo che può portare, nel giro di alcune generazioni, all’annacquarsi, prima, e, in tempi più lunghi, alla sparizione della tradizione ebraica.
Dello stesso parere è stata anche Maria Angela Falà, rappresentante dell'Unione Buddista Italiana, e, sebbene in maniera diversa, pure Swamini Hansananda Ghiri, in rappresentanza dell’induismo, ha insistito sulla complessità del fenomeno dei matrimoni misti che, in India, presenta una varietà di esempi e di declinazioni.
Al dibattito hanno partecipato rappresentanti anche dell’Islam, la signora Chiara Ferrero della Accademia ISA di Studi Interreligiosi, e mons. Josè Maria Serrano, già presidente della Corte di Appello del Vaticano, che ha dichiarato come dopo il Concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica si sia aperta al riconoscimento non solo dei matrimoni fra battezzati di differenti confessioni cristiane, ma anche alla possibilità dei matrimoni caratterizzati da "disparità di culto". Mons. Serrano ha evidenziato come in merito a queste unioni sussistono aspetti giuridici, canonici e pastorali che andrebbero maggiormente armonizzati nel rispetto della confessione religiosa dell’altro coniuge.
L’aspetto che è emerso dai vari interventi è l'importanza di una maggiore apertura da parte di tutte le realtà religiose ad affrontare un aspetto destinato a diventare sempre più comune e per il quale è necessario, anche all’interno delle diverse strutture religiose, avere persone preparate ad affrontare positivamente le questioni che possono emergere.
Spesso, anche personalmente, sono stato testimone di una notevole impreparazione da parte del clero cattolico ad affrontare situazioni di questo tipo, con conseguente decisione del partner cristiano di convertirsi alla fede del coniuge o di lasciare la pratica religiosa.