Maternità surrogata, i diritti del bambino prevalgono sui desideri degli adulti
Lo scorso 23 giugno il Tribunale di Milano, con un comunicato stampa, rendeva nota la decisione di annullamento della trascrizione dell’atto di nascita, che recava l’indicazione sia del genitore biologico sia del “genitore intenzionale” in riferimento a un minore nato all’estero da due cittadini italiani – coppia omogenitoriale – con maternità surrogata.
Il Tribunale accoglieva così il ricorso proposto dalla Procura della Repubblica, in quanto la trascrizione dell’atto di nascita formato all’estero era avvenuta in violazione della normativa vigente, che vietando come reato il ricorso alla maternità surrogata (art. 12, comma 6, Legge n. 40/2004), vieta altresì la trascrizione dell’atto di nascita, nella misura in cui riporta anche il “genitore intenzionale” (partner del genitore biologico).
L’orientamento espresso dal Collegio giudicante è in adesione agli stessi principi dettati dalla recente sentenza delle Sezioni Unite Civili della Cassazione (n. 38162/2022), e – in conformità ad essa – il Tribunale riconosceva la tutela del minore attraverso lo strumento dell’adozione in casi particolari (art. 44, comma 1, lett. d, Legge n. 184/1983).
La questione del rifiuto da parte delle autorità italiane di riconoscere gli atti di nascita rilasciati all’estero, a seguito di “maternità surrogata”, aveva riguardato il giorno prima un’altra comunicazione: il pronunciamento della Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU), che respingeva i ricorsi presentati contro l’Italia.
I ricorrenti facevano valere, in forza del combinato disposto degli artt. 8 e 14 della “Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, la violazione del diritto al rispetto della loro vita privata e familiare.
La Corte europea, nel ripercorrere la consolidata giurisprudenza italiana nell’orientamento sia della Corte costituzionale che della Cassazione, giungeva alla conclusione che il mancato riconoscimento dell’atto di nascita da parte delle autorità italiane non incideva in modo significativo sul godimento del diritto alla vita familiare da parte degli interessati.
Né il desiderio di veder riconosciuto un legame tra i bambini e i genitori intenzionali si scontrava per la Corte con un’impossibilità assoluta, in quanto i ricorrenti avevano a disposizione l’opzione dell’adozione e non l’avevano utilizzata.
Inoltre, ribadiva la Corte, la maternità surrogata a cui si era fatto ricorso per creare una famiglia era contraria all’ordine pubblico italiano, e gli stessi interessati dimostravano di essere a conoscenza del fatto che fosse vietata dalla legge italiana.
La Corte EDU confermava dunque che lo Stato italiano non ha superato l’ampio margine di apprezzamento di cui dispone in materia.
La questione è da tempo divisiva e merita qualche riflessione per ricostruirne il fondamento, a cominciare dalla costituzionalità delle “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita” (PMA – Legge n. 40/2014). Si tratta di norme che regolano l’accesso alla procreazione artificiale per coppie di sesso diverso (art. 5), in presenza di cause non rimovibili altrimenti che pongano i soggetti in condizioni obiettive di infertilità o di sterilità.
Su queste premesse la Corte costituzionale (sent. n. 221/2019) ha distinto le “coppie omosessuali femminili”, la cui infertilità è «conseguente alla non complementarietà biologica delle loro componenti», dalle “coppie omosessuali maschili”, per le quali «la genitorialità artificiale passa necessariamente attraverso una pratica distinta: vale a dire la maternità surrogata» (o GPA). Una pratica quest’ultima vietata in assoluto, in quanto sanzionata penalmente dall’art. 12, comma 6 della Legge 40, anche nei confronti delle coppie eterosessuali.
In ogni caso, la pratica della PMA per coppie dello stesso sesso (alle quali – per la Corte – neanche è possibile estendere la fecondazione eterologa con gameti maschili di un donatore) resta vietata dall’art. 12, comma 2, legge 40, e come illecito è punito con la sanzione amministrativa da 200.000 a 400.000 euro; seguono ulteriori conseguenze per chi la pratichi.
La Corte costituzionale ne ha spiegato la ragione: la procreazione artificiale, in quanto prevista come rimedio per sterilità/infertilità (irreversibili) dipendenti da una causa patologica, non può «rappresentare una modalità di realizzazione del “desiderio di genitorialità” alternativa ed equivalente al concepimento naturale, lasciata alla libera autodeterminazione degli interessati». E ciò «in una prospettiva di salvaguardia dei diritti del concepito e del futuro nato».
Resta evidente per la Corte anche la differenza della PMA dall’adozione, che «presuppone l’esistenza in vita dell’adottando: essa non serve per dare un figlio a una coppia, ma precipuamente per dare una famiglia al minore che ne è privo».
Nell’escludere qualunque profilo di incostituzionalità, la Corte conclude dunque che non è irragionevole che il legislatore si preoccupi di garantire al bambino quelle che sono le ‘migliori condizioni’, per lo sviluppo della sua personalità, ovvero, due genitori di sesso diverso: in linea di principio, il “luogo” più idoneo per accogliere e crescere il nuovo nato.
Una nuova conferma nella sentenza n. 79/2022: la Corte costituzionale ribadisce l’interpretazione espressa, escludendo che il desiderio di genitorialità, attraverso il ricorso alla PMA «lasciata alla libera autodeterminazione degli interessati», possa legittimare un presunto «diritto alla genitorialità». Il desiderio del resto non può prefigurare un diritto che, come tale, prevede degli obblighi. Analogamente, per la “maternità surrogata” la Corte ribadisce l’offesa «intollerabile alla dignità della donna […] mina nel profondo le relazioni umane, assecondando un’inaccettabile mercificazione del corpo, spesso a scapito delle donne maggiormente vulnerabili sul piano economico e sociale».
Per questo, nella sentenza n. 33/2021 ancora la Corte costituzionale ne riconferma la rilevanza penale quale «principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, tra cui segnatamente la dignità umana della gestante». Tuttavia, lo sforzo di arginare tale pratica, sostiene la Corte nella sentenza ultima del 2022 n. 79, «non consente di ignorare la realtà di minori che (già) vivono di fatto in una relazione affettiva con il partner del genitore biologico».
In loro favore la Corte costituzionale riprende precedenti pronunce orientate all’adozione “in casi particolari” (Legge 1983/n. 184). Un orientamento volto non certo ad «assecondare attraverso automatismi il mero desiderio di genitorialità», né a dare rilevanza al solo e pur necessario consenso del genitore biologico, piuttosto fondato sul presupposto di «un giudizio sul miglior interesse del minore e un accertamento sull’idoneità dell’adottante».
Si conferma dunque l’orientamento già espresso per un «procedimento di adozione» in risposta all’esigenza che sia accertata in concreto dal giudice la corrispondenza agli interessi del bambino (Corte cost., sent. n. 33/2021, e in essa il compito per il legislatore di un adeguamento nella disciplina).
Ė il superiore interesse del minore a esigere una valutazione in giudizio, che verifichi le condizioni di vita in cui il minore dovrebbe essere accolto e cresciuto, valutazione per sé contraria a ogni automatismo mediante trascrizione.
Lo sguardo non può che essere rivolto al più fragile e alle necessarie tutele. Né si può negare che le “relazioni fondanti “ (padre-madre), che da sempre hanno caratterizzato l’umanità, nel lasciare il posto a “rapporti di genitorialità” definiti per contratto presentino il rischio di ridurre gli esseri umani a “oggetti”.
Hannah Arendt scriveva così: «l’uomo in quanto ‘figlio della natura’ non appartiene all’artificiale, ed è la natura e non l’artificio la cifra della sua umanità». Rispettare nella convivenza regole poste a garanzia di valori fondanti, e riconosciute valide nella loro costituzionalità, non è anche questa legalità?
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