Maschio e femmina li creò
Anorma della nostra immagine, come nostra somiglianza. I termini adoperati in ebraico sono sèlèm (immagine) e demût (somiglianza). La parola sèlèm, stando alle analisi di P. Hubert, indica un’immagine plastica, come una statua, che raffigura sia gli uomini che le divinità nella forma esterna dell’originale; demùt è un astratto che attenua in parte il significato della frase, indicando una somiglianza analoga al modello divino. Queste divergenze tra le due parole non vanno prese però troppo strettamente, poiché in Gn 1, 27 e 9, 6, vi è solo sèlèm, e in Gn 5, 1, vi è solo demût. Si tratta adesso di vedere in che cosa consiste l’immagine. Nell’Antico Testamento, Dio non viene mai raffigurato sotto la forma di animale; c’è invece una sua epifania sotto l’aspetto d’uomo: vedi, per esempio, Is 6, 1 (13), Ger 1, 9, Am 9, 1, Ez 1, 26-28 e 8, 2. Una somiglianza con Dio del corpo degli uomini appena creati si può forse ipotizzare, purché non esaustiva. Gunkel e Kòhler ritengono che la somiglianza sta nella posizione eretta del corpo, in contrapposizione a quella supina dell’animale; la possibilità di guardare il ciclo sarebbe l’elemento che distingue l’immagine di Dio. Cosi, come è presentata dagli autori, ci sembra un’interpretazione errata, poiché non coglie l’uomo nella sua interezza. Questa teoria del corpo eretto dell’uomo era già stata presentata da Agostino, ma in un contesto ben più completo. Altri, al contrario, vedono l’immagine e la somiglianza con Dio nell’elemento spirituale. Scrive A. Clamer: Appare evidente, in effetti, che gli israeliti, malgrado l’impiego di antropomorfismi, non erano meno convinti della spiritualità divina; la stretta proi bizione di fare delle immagini della divinità era voluta proprio per salvaguardare questo carattere e premunirlo contro la tendenza a materializzare il Dio d’Israele (1). Questa interpretazione, così come è stata esposta, incontra però serie difficoltà, poiché non c’era in Israele una distinzione fra anima e corpo, nel senso platonico. J.A. Soggin (2) conclude allora: Il testo infatti non ci dice nulla, anche se non permette neanche di limitare la somiglianza dell’uomo con Dio agli aspetti fisici soltanto, e non estenderla ad altri campi. Se possiamo dunque affermare che tali elementi possono essere impliciti nella dottrina dell’immagine divina dell’uomo, nulla nel testo ci autorizza a specificare ulteriormente. Anche questa posizione molto chiara e molto aderente alla lettera del testo, non sembra completa. Vi sono sicuramente elementi impliciti, ma almeno un elemento viene esplicitato: la dominazione dell’uomo sugli animali; non che la somiglianza con Dio consista in questo, ma vi si afferma l’esistenza, nell’uomo, di qualcosa che è un al di là dell’essere bestia. Col tempo si verranno a conoscere tutte le teorie sull’anima e sulla grazia, nello stato originale, ma c’è già un fondamento oggettivo nelle parole del Genesi che ci fa pensare a una somiglianza, come diceva Agostino, della parte superiore dell’uomo (quella che verrà chiamata spirito), senza escludere la parte corporea. Ed Elohim creò gli uomini a norma della sua immagine; a norma dell’immagine di Elohim li creò, maschio e femmina li creò (Gn 1, 27). Maschio e femmina. L’uomo viene creato con una differenziazione sessuale; essa appare creaturale e normale. Anticamente si pensava, nel mondo pagano, alla nascita degli uomini dalla scissione di un androgino. Il Genesi sacerdotale, non solo non vede alcuna malizia nel sesso, che è creato da Dio, ma rigetta anche la teoria androginista. Si può dire che l’uomo viene creato come pluralità di due esseri che si completano. Non c’è nel primo capitolo alcuna allusione alla nascita di Eva da Adamo, ma non c’è nemmeno un’affermazione contraria. E. Brunner così commenta questo passo: C’è la doppia frase prodigiosa d’una semplicità così lapidaria che si ha appena coscienza del fatto ch’essa fa sparire dietro di noi tutto un mondo di miti, di speculazione gnostica, di cinismo ed ascetismo, di divinizzazione del sesso e d’angoscia sessuale. Si possono fare, su questo v. 27, alcune considerazioni di notevole importanza. Oltre all’uguaglianza tra l’uomo e la donna, già notata nel v. 26, vi è qui dichiarata la somiglianza ad immagine di Dio del maschio e della femmina. Ciascuno dei due sessi ha in sé qualcosa del modello divino; se ci fosse stato solo il maschio, sarebbe mancato qualcosa di essenziale all’immagine. Per questo motivo la donna assomiglia a Dio in modo diverso dall’uomo, ha un modo suo proprio d’essere immagine. L’uomo e la donna hanno in comune, come abbiamo visto, la corporeità, sia pur diversa, e quel che di più assomiglia a Dio e li distacca dagli animali; ma sono immagini di Dio anche per ciò che hanno di specificatamente maschile o femminile (3). È in quanto donna, è in ciò che la differenzia dall’uomo, che la donna è un riflesso dell’immagine divina. Per questo, se prendesse come modello l’uomo, non realizzerebbe la sua esistenza teologica. Rimanendo donna nella maniera più completa, essa fa suoi ed attua i divini progetti e assomiglia maggiormente a Dio. Si coglie, qui, il fondamento stesso del valore della donna: valore che non consiste nelle qualità propriamente femminili, ma nella trasparenza delle perfezioni di Dio attraverso queste qualità (4). Ma c’è ancora un aspetto importante che si può considerare, nel v. 27. Dio, creando l’uomo, maschio e femmina, ha fatto simili a lui non solo l’essere mascolino e l’essere femminino, ma anche la loro unità. Dalla rivelazione neotestamentaria sappiamo che Dio è uno e trino. Perché la somiglianza con Dio fosse maggiore, occorreva una comunità di persone in rapporto l’una all’altra; così essendo, riflettono la Trinità, in cui le persone si caratterizzano per le loro mutue relazioni (5). Il fatto di essere in relazione, per l’uomo come per la donna, non implica alcuna inferiorità. Anche in questo caso ci si può ispirare alle Persone della Trinità. Poi JHWH-Elohim disse: Non è affatto bene che l’uomo sia solo. Gli voglio fare un aiuto a lui corrispondente (Gn 2, 18). Nella narrazione della creazione dell’uomo secondo la tradizione sacerdotale, Dio si era compiaciuto dicendo che era cosa molto buona ; ma il racconto sacerdotale ci aveva riportato la creazione dell’uomo e della donna. Qui, invece, l’uomo è solo, e non è fatto per essere solo. Dio esprime l’angoscia dell’uomo affermando che è cosa cattiva che l’uomo sia solo, e vuole creargli un aiuto che gli stia di fronte, come davanti a lui, dice l’ebraico, un aiuto che possa appagare il suo desiderio di compagnia. Sotto un certo aspetto, la donna è giudicata in modo assai poco romantico qui, come nel resto dell’Antico Testamento. Non bisogna però pensare subito a un aiuto come sposa, prevenendo quello che dirà poi l’autore ispirato. Infatti, Dio cercherà questo aiuto tra gli animali. Vedremo poi il significato di questa progressione del racconto. Adesso ci fermiamo solo a sottolineare l’elemento nuovo che viene portato dallo scrittore jahvista. L’uomo è un essere sociale, da solo non è completo, ha bisogno almeno di un altro essere, e questo sia da un punto di vista fisico che spirituale. Allora il Signore modellò, ancora dal terreno, tutte le fiere della steppa e tutti i volatili del ciclo e li condusse all’uomo per vedere come li avrebbe chiamati. In qualunque modo l’uomo li avrebbe chiamati, gli esseri viventi, quello doveva essere il loro nome. E così l’uomo impose dei nomi a tutto il bestiame, a tutti i volatili del ciclo e a tutte le fiere della steppa; ma per Adamo, non fu trovato un aiuto a lui corrispondente (Gn 2, 19-20). Da rimarcare, qui, che non sono citati gli animali acquatici; Dio non avrebbe potuto presentarli ad Adamo, abitatore di terre aride. L’elemento da sottolineare è l’imposizione dei nomi. Per i semiti, imporre il nome equivaleva a indicare l’essenza di una persona o di una cosa. Vi era infatti un’equivalenza tra essenza della persona, dell’animale o della cosa, e nome. Sapere il nome, di conseguenza, significava conoscere intimamente. Ma non è solo questo. Imporre il nome è (…) un atto di creazione di secondo grado che si effettua in questa designazione con dei nomi, atto d’organizzazione, per la quale l’uomo si appropria mentalmente come oggetti le creature (…). Concretamente: se l’uomo dice bue, non ha soltanto inventato la parola bue, ma ha afferrato questa creatura in quanto bue, e l’ha introdotta nel quadro della sua esistenza come un ausiliare che favorisce la sua vita (6). Ma c’è un altro elemento, nell’imposizione del nome: l’indicazione dell’esercizio di un potere sovrano che si esercita su chi riceve il nome. Una prerogativa signorile chiaramente sottintesa dal Genesi e che ritroviamo poi nella storia d’Israele. Nonostante tutto questo, Adamo non trova un aiuto a lui corrispondente. È evidente che lo scrittore vuole prepararci alla creazione della donna. Alcuni hanno visto, in questo cercare un aiuto in mezzo agli animali, una degradazione della donna. In realtà, è vero il contrario; quando, infatti, lo scrittore jahvista componeva il suo testo sfruttando le tradizioni precedenti, la donna era considerata un possesso dell’uomo, al pari del bue e dell’asino. Sembra perciò che si voglia, invece, far risaltare il distacco della donna dagli animali. È una pagina di grande insegnamento; la donna è per lo scrittore un tutto diverso dagli animali. Ancora non ci dice che è uguale all’uomo, ma lo si può intuire tra le righe. Allora JHWH-Elohim fece cadere un sonno profondo sull’uomo, che si addormentò, poi gli tolse una delle coste e richiuse la carne al suo posto. E JHWH-Elohim costruì la costa che aveva tolto dall’uomo, formandone una donna, poi la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: Questa volta è osso delle mie ossa e carne della mia carne! Costei si chiamerà donna (uoma) perché dall’uomo fu tratta costei!. È per questo che l’uomo abbandona suo padre e sua madre e si attacca alla sua donna e i due diventano una sola carne (Gn 2, 21-24). Il sonno profondo che s’impadronisce di Adamo, lo troviamo spesso nella Bibbia, quando si tratta di un’azione soprannaturale, come per esempio in Gn 15, 12, 1 Sam 26, 12; Is 29, 10; Gb 4, 13. Sembra quasi che Dio non voglia farsi vedere quando compie i suoi prodigi. Così accade nella creazione degli animali, 2, 19 (34) che avviene lontano da Adamo. Lo stesso nelle parole rivolte a Mosè, Es 33, 18-20 (35).