Masaccio a Milano

Arriva da Capodimonte (Napoli) al Museo Diocesano la Crocifissione del pittore fiorentino. Fino al 7 maggio. Da non perdere
Masaccio Crocifissione
Masaccio, "Crocifissione", in esposizione al Museo Diocesano di Milano fino al 7 maggio (Foto: Pubblico dominio, Wikimedia Commons)

Lascia senza fiato. È una piccola tavola, la cimasa, cioè la parte superiore di un polittico – ora disperso tra vari musei – per un ricco pisano nella chiesa del Carmine. Masaccio, cioè Tommaso di san Giovanni in Valdarno, aveva allora 25 anni – era il 1426 –, era un tipo originale, senza schemi, libero. Si era adattato ai gusti del committente che voleva il fondo oro e le figure evanescenti, ma lui ci aveva messo dentro una energia che era quella degli amici Donatello, scultore, e Brunelleschi, architetto.

È il Rinascimento. Ma come lo intende lui, cioè vivo, umano, emotivo. Quante volte mi sono fermato al Museo di Capodimonte, affascinato dalla tavola (cm. 82,1 x 63,5) destinata ad esser vista dal basso, cosa che fa capire il motivo delle gambe piccole e del capo incassato sul torace del Cristo. Ogni volta, una sincera commozione pervade chi si ferma ad osservare la tavola in cui Masaccio, con una sintesi formidabile che Michelangelo riprenderà, svela il mistero pasquale: morte e resurrezione del Redentore.

Morte e resurrezione. Perché, se è vero che il Crocifisso bruno, plastico, chiaroscurato è immerso nel sonno della morte, è altrettanto vero che sulla sommità della croce spunta un alberello, cioè il giardino in cui Maddalena per prima incontrerà il Risorto.

Quello che subito ci afferra è lo strazio indicibile dei dolenti. Giovanni che si torce le mani nel dolore per l’amico scomparso che non ha il coraggio più di guardare, Maria in piedi come una azzurra statua gotica, vecchia orante fiduciosa. Poi, non c’era altro, se non il fondo dorato. Masaccio se ne accorse: mancava qualcosa.

E allora si è inventato la Maddalena in rosso vivo: fiamma d’amore disperato, vista di tergo soltanto, i capelli biondi scomposti sul manto, le braccia tese ed allungate in un abbandono estremo, straziato, implorante.

Ai grandi artisti basta poco per dire tutto. A tutti. I grandi sono essenziali.

Davanti a questo dramma umano, la religione diventa sensibilità, corpo, vicinanza, dolore e speranza insieme. Non si finirebbe mai di uscire da questa contemplazione – e preghiera, è il caso di dirlo – in questo atto unico nel quale con una forza espressiva coraggiosa, il giovane pittore rivoluzionario “dice” potentemente l’uomo-Cristo, il dolore universale e insieme la speranza.

Fra le tante opere d’arte sulla Passione, questa che si può osservare da vicino, è di una pregnanza assoluta. Con una decisa visione, Masaccio ci mette di fronte la morte: sonno, fine, strazio per chi resta ed ha amato, e pure possibile fioritura in un altro cielo oltre a quello dorato della tavola.

Da meditare.

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