Martiri dell’odio e cultura dell’incontro

La beatificazione in Algeria (la prima mai avvenuta in un Paese a così alta maggioranza musulmana) e il ricordo delle vittime di una guerra civile cruenta e crudele. Testimoni di una fraternità senza frontiere. Senza dimenticare i 99 imam uccisi per aver condannato la violenza. Il prossimo viaggio di papa Francesco
Il monaco cattolico francese Jean-Pierre Schumacher, a destra, è l'ultimo sopravvissuto della presa in ostaggio dei sette monaci di Tibhirine durante la guerra civile algerina nel 1996 (AP Photo / Anis Belghoul)

L’8 dicembre ad Orano sono stati proclamati beati diciannove martiri che hanno perso la vita in Algeria nel corso di una guerra civile cruenta e crudele che ha seminato morte anche fra la popolazione musulmana. Si calcola che siano circa 150 mila le persone che sono state uccise negli anni Novanta in uno dei conflitti più misteriosi che hanno insanguinato i Paesi a maggioranza musulmana.

Fra i diciannove cattolici vittime di quella violenza assurda fra il 1994 ed il 1996 spiccano ovviamente i sette monaci di Tibhirine, rapiti nella notte fra il 26 ed il 27 marzo 1996 e trovati poi trucidati qualche mese più tardi. Le loro figure sono rimaste nell’immaginario pubblico, sia per l’impressione che aveva fatto il loro rapimento e, successivamente, il ritrovamento dei loro corpi decapitati, sia per il film Uomini di Dio.

Ma altri nella piccola comunità cristiana dell’Algeria hanno perso la vita in circostanze violente. Fra questi, il frate marista Henri Vergés e la piccola sorella dell’Assunzione Paul-Héléne Saint Raymond, assassinati l’8 maggio 1994, due missionarie spagnole agostiniane, Esther e Caridad, uccise poco prima della Messa all’entrata della cappella di Bab al Oued. Ed ancora quattro Padri Bianchi, PP. Dieulagard, Deckers, Chevillard, Chessel, vittime della violenza in Cabilia, due sorelle di Nostra Signora degli apostoli, Biane e Angel-Marie, assassinate mentre tornavano al loro appartamento dopo la Messa. Anche due Piccole Sorelle del Sacro Cuore di Charles de Foucauld vennero attaccate mentre aspettavano di ricevere la comunione. Una, Odette Prévot, perse la vita, ma la sua consorella Chantal Galicher sopravvisse. Infine, fu il turno di mons. Pierre Claverie o.p. e del suo amico musulmano Mohammed Bouchikhi, vittime di una bomba mentre rientravano nella residenza del vescovo.

Un gruppo di martiri, senza dubbio, unico nel suo genere. Tutti consacrati o sacerdoti, un vescovo, testimoni fino alla morte in una terra che non era la loro. Tutti avevano fatto la scelta di restare in quel Paese nonostante fosse stata data loro la possibilità di partire. A loro si aggiunge anche un giovane musulmano, simbolo delle migliaia di uomini e donne della stessa fede trucidati senza un motivo se non quello dell’assurdità dell’odio.

Gli echi delle morti di questi che hanno testimoniato la loro fede in Dio ed il loro amore per il popolo al quale aveva scelto di dedicare la loro vita erano stati di vario tipo. A fronte di una certa propaganda crudele, molti avevano apertamente condiviso la loro ammirazione per l’esempio dato da questi martiri. Un giornalista di Algeri, per esempio, era arrivato a riconoscere, dopo la morte di due suore che il suo «pensiero non smette di ritornare all’omicidio di queste due suore spagnole […] Come si può sparare su due donne […] che andavano verso Dio per chiedere una grazia […] per noi poveri algerini piegati dalle tragedie?».

La Chiesa cattolica ha avviato il processo diocesano nel 2007 e dopo 11 anni, nel gennaio di quest’anno papa Francesco ha autorizzato la celebrazione della beatificazione dei martiri mentre i vescovi in Algeria hanno avuto il permesso che la celebrazione potesse avere luogo nel loro Paese. Si tratta di una prima assoluta. Mai, infatti, una beatificazione era avvenuta in un Paese a così alta maggioranza musulmana. La motivazione è significativa. È, infatti, emerso subito il desiderio che questo momento solenne di ricordo dei martiri cristiani non fosse disgiunto dalla possibilità di ricordare tutti coloro che avevano perso la vita nel conflitto.

A questo proposito i vescovi avevano sottolineato con coraggio che «i nostri fratelli e le nostre sorelle (martiri) non accetterebbero di essere separati da coloro in mezzo ai quali hanno donato la loro vita. Sono i testimoni di una fraternità senza frontiere, di un amore che non fa differenze. Il nostro pensiero vuole omaggiare allo stesso modo tutte le nostre sorelle e i nostri fratelli algerini che non hanno avuto timore di rischiare la loro vita, fedeli a Dio, fedeli al loro paese e fedeli alla loro coscienza […]. Tra loro, ricordiamo i 99 Imam che hanno perso la loro vita per aver rifiutato di giustificare la violenza».

La Chiesa ha, quindi, scelto di non chiudersi nel ricordo dei ‘suoi’ martiri ma di metterli in rapporto con coloro che hanno perso la vita nello stesso periodo e per gli stessi motivi, anche in questo momento solenne di riconoscimento della loro eroicità nell’amore per Dio e per i fratelli e sorelle. La missione della Chiesa, con questo atto, esce, dunque, da canoni tradizionali e tende la mano a fratelli e sorelle musulmani in un atteggiamento di dialogo che continua anche dopo la morte. Come ha notato, in una recente intervista per il quotidiano Avvenire, il card. Angelo Becciu, prefetto della Congregazione dei Santi, inviato da Papa Francesco a celebrare il rito di beatificazione nella cattedrale di Orano, «la Chiesa è in una logica di misericordia e desidera offrirla all’intera Algeria nell’intento di aiutarla a medicare le ferite, rifiutando ogni fondamentalismo, rispettando la sofferenza delle cicatrici ancora numerose e promuovendo il dialogo».

Atteggiamento, quindi, di apertura in particolare verso il mondo musulmano. Non deve sfuggire l’annuncio apparso il 6 dicembre del prossimo viaggio di papa Francesco, negli Emirati Arabi Uniti per partecipare ad un Incontro interreligioso internazionale che si terrà dal 3 al 5 febbraio prossimo ad Abu Dhabi. Si tratta anche qui di una prima assoluta. Mai un pontefice è stato fino ad oggi negli Emirati Arabi dove i cristiani sono oggi numerosi, ma tutti provenienti da altre nazioni: Libano, Egitto, Filippine, India, Pakistan. La Chiesa dell’epoca di papa Francesco continua, dunque, la sua marcia nella costruzione la ‘cultura dell’incontro’ e tende la mano a tutti per una vera testimonianza di fratellanza e lo fa, proprio sul sangue comune dei martiri.

 

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