Martire dello sfruttamento della Terra
L'Honduras piange di nuovo, e sono lacrime sempre più dense di rabbia e indignazione.
Oltre 80 sono ormai gli ambientalisti assassinati in Honduras negli ultimi quattro anni – triste record mondiale – nella piú assoluta impunità, e lontanissimi dal mainstream dei mass media internazionali.
Fa eccezione l'omicidio di Berta Cáceres, ambientalista e paladina dei diritti dei popoli nativi dell'Honduras contro lo sfruttamento delle risorse naturali, assassinata nella notte di mercoledì, a casa sua, da due uomini armati. Avrebbe compiuto 43 anni proprio oggi. Lascia quattro figli.
Indigena del popolo lenca, che nella sua cosmovisione si considera custode della natura e dei corsi d'acqua, un giorno, sull'esempio dell'impegno civile e della lotta della madre – ex sindaco, infermiera e “ostetrica” che negli anni '80 si dedicò all'assistenza degli sfollati dalla guerra civile de El Salvador – decise di mettersi in gioco per proteggere la vita della sua gente. E per questo fu perseguitata e minacciata.
Dopo un'infanzia nella quale aiutò attivamente la madre e una gioventù di impegno studentesco, Berta Cáceres fu cofondatrice del Consiglio Civico delle Organizzazioni Popolari Indigene dell'Honduras (COPINH), attraverso il quale organizzò i lenca (la maggiore etnia del paese) nella lotta contro il progetto idroelettrico Agua Zarca, previsto in un'area del loro territorio ancestrale. La diga avrebbe compromesso il corso del fiume Gualcarque, sacro per gli indigeni e vitale per la loro stessa sopravvivenza. I lenca credono che nelle acque vivano gli spiriti femminili, e che le donne ne siano quindi le custodi.
La campagna condotta dalla Cáceres riuscì a far desistere dall'accordo la più importante azienda costruttice di dighe a livello mondiale, la cinese a capitali pubblici Sinohydro.
Lo Stato honduregno e il CFI, ente finanziario della Banca Mondiale, dovettero abbandonare l'iniziativa dichiarando che il motivo era la forte pressione sociale contraria allo stesso. Ma il prezzo di questo straordinario successo è stato alto: Berta ha denunciato l'assassinio di quattro compagni di lotta, oltre a minacce praticamente quotidiane alla sua incolumità. Senza contare i durissimi lunghi mesi di occupazione fisica del terreno dove erano entrate le ruspe, senza preavviso, in totale violazione delle norme internazionali ratificate dall'Honduras circa l'obbligatorietà della consulta “libera, piena ed informata” ai popoli indigeni. Vessazioni di poliziotti ed altri abusi erano allora all'ordine del giorno, oltre alle naturali penurie.
E dopo “la vittoria”, presero più forza le reazioni del mondo imprenditoriale, mentre la questione si politicizzava e si ideologizzava. La presidente del Consiglio delle Aziende Private (la Confindustria e Confcommercio honduregna) accusò pubblicamente in la Cáceres, in televisione, di “boicottare i progetti di sviluppo dell'energia rinnovabile” “protetta da organismi di diritti umani che ricevono fondi da contribuenti europei e statunitensi che non sanno dove vanno a finire i soldi delle loro tasse”.
Ma dopo la vittoria iniziale, il progetto idroelettrico pubblico-privato era tornato alla carica in un'altra zona lenca e la lotta delle organizzazioni indigene era ritornata su questo fronte.
In un corteo, a fine febbraio, Berta e suoi compagni si sono scontrati con vigilantes e promotori del progetto idroelettrico che secondo il COPINH li avrebbero aggrediti.
Il 25 febbraio il consiglio indigeno ha denunciato la deportazione forzata di 50 famiglie della zona. Poco dopo, la leader ha pronunciato il discorso pubblico con il quale denunciava l'uccisione di quattro compagni, preambolo della sua tragica fine.
Varie organizzazioni internazionali hanno condannato l'assassinio, e il COPINH non ha esitato a accusare le aziende, entità e fondi di sviluppo coinvolti nel progetto idroelettrico, di origine olandesi, finlandesi, tedesche e statunitensi, con “la complicità dello Stato dell'Honduras”.
Per la famiglia, i compagni di lotta e le ong, le autorità non hanno fatto nulla per proteggere la Cáceres, ed ora la madre e i familiari, denunciano che la protezione di cui doveva essere oggetto da parte delle forze dell'ordine si limitava a un pattugliamento ogni tanto e negano che Berta abbia mai richiesto l'anullamento della misura cautelare, come ha affermato giovedì il portavoce della Polizia. Un attivista messicano che pernottava presso la famiglia di Berta Caceres è rimasto ferito la notte dell'assassinio ed è ora un testimone chiave per il chiarimento del crimine. Ma poca è la fiducia degli honduregni nella propria Giustizia, ed anche i parenti ed i compagni di lotta della leader uccisa hanno richiesto la presenza di legali di fiducia in tutti i procedimenti giudiziari.
Nel pomeriggio, tafferugli nella capitale Teguchigalpa tra studenti universitari e forze dell'ordine, mentre l'indignazione sale tra la cittadinanza. Troppa è l'impunità che finora ha coperto i delitti di questo tipo. Intanto, governi e personalitá, dal presidente venezuelano Nicolás Maduro a Leonardo Di Caprio hanno espresso dolore e condanna ed esigono giustizia.