Martinazzoli, cultore della politica mite

Un ricordo di Mino Martinazzoli a partire dalle numerose testimonianze sulla dirittura morale, l’umiltà e la capacità di dialogo di un protagonista della vita politica italiana. Un profilo del segretario politico che scelse di sciogliere la Democrazia Cristiana  per dar vita al Partito Popolare: «Potevamo essere più democristiani di prima: meno il nostro potere, di più le nostre idee e il nostro progetto»

Mino Martinazzoli, già esponente politico della Democrazia cristiana, più volte ministro, giurista ed avvocato penalista, nasce nel 1931 ad Orzinuovi nella bassa bresciana. Provo a tratteggiare alcuni aspetti caratteristici di questo straordinario uomo, anche attraverso l’aiuto del testo “Il cambiamento possibile” scritto da Mino Martinazzoli e Annachiara Valle (Rubbettino 2021, con prefazione a cura del presidente della Repubblica. Sergio Mattarella).

L’amore per lo studio. Mino Martinazzoli è stato un grande appassionato dello studio e della cultura: «il mio esordio politico fu casuale. A me piaceva molto studiare. La politica la guardavo da spettatore». E questa passione ha contraddistinto Martinazzoli in tutti gli attimi della sua vita, sempre intento ad approfondire, a leggere, a prendere appunti. « Martinazzoli era, prima di tutto, il suo linguaggio “ perché esplorando con singolare raffinatezza le sfumature del vocabolario, Mino riusciva a dare “limpidezza e significato alla sua fatica politica» . Così Marco Follini nel libro citato.

Un uomo mite e un politico rigoroso. Sempre Marco Follini, nel libro di Annachiara Valle, definisce Mino Martinazzoli come un uomo mite ed un politico rigoroso, mite perché rispettoso degli altri e delle loro idee e rigoroso nell’approccio con i problemi, con estremo perfezionismo anche verso sé stesso: Martinazzoli «era straordinariamente insofferente verso le mediocrità e le bassezze della politica, specie quelle che avevano origine dalla sua parte. Ma era anche straordinariamente curioso e paziente verso le fantasie che la politica a volte sapeva offrire e insieme verso le fatiche che chiedeva in cambio».

L’idea del farsi umano dello Stato. In linea con la straordinaria sensibilità umana e politica di Aldo Moro, Martinazzoli era convinto che «lo Stato non è altro dalla società, è semplicemente la sua regola», instancabile sostenitore che la mediazione fosse la regola della politica, una politica intesa come servizio alla società e all’uomo.

La mitezza è indispensabile alla politica. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel ricordare a Trento il centenario della nascita di Chiara Lubich, ha indicato la mitezza quale categoria necessaria della vita politica e democratica di una società; solo chi usa mitezza, in realtà, dimostra la vera forza. Ecco, Mino Martinazzoli, è stato un senatore, un deputato, un ministro, un segretario di partito. Ma soprattutto un uomo mite, un politico che ha sempre considerato le istituzioni come “la casa di tutti”, una Comunità di persone e di organismi sociali che possono trovare ed attuare il proprio futuro solo nei valori della condivisione e dell’unità. Ed ancora Sergio Mattarella (amico  e collega parlamentare  di Mino Martinazzoli, ha sottolineato il fatto che non può esservi una vera e propria democrazia senza le fondamenta rappresentate dalla mitezza e dallo spirito di fratellanza.

Il rispetto per il dissenso. Sulla stessa linea culturale di Aldo Moro, Mino Martinazzoli era consapevole del fatto che «spesso il disaccordo diventa la chiave di volta per illuminare gli angoli oscuri della conoscenza» (così Agazio Loiero). Un poeta della politica. Agazio Loiero (già presidente della Giunta regionale della Calabria), ricorda Martinazzoli come un oratore delizioso, perché «la sua parola affascinava tutti. Anche gli avversari politici, a cominciare dalla presidente della Camera del tempo, onorevole Nilde Jotti, che seguiva-si coglieva lontano un miglio-i suoi discorsi con intensa partecipazione».

Il capo empatico, un uomo ironico. Lo psicologo sociale professor Gabriela Calvi dell’Università di Pavia, studiando a lungo il personaggio Mino Martinazzoli, lo ha definito «il miglior capo empatico, apparso nella vita pubblica italiana nel corso degli ultimi decenni», formulando addirittura l’ipotesi che «Mino Martinazzoli avesse deciso di dedicarsi alla vita politica non sulla base di delicate elucubrazioni, né di convinzioni dottrinali, bensì per il modo in cui ha sempre concepito il rapporto con le altre persone, avvertendo in tutti – come in se stesso – il bisogno di amicizia, di affetto, di solidarietà e di aiuto: insomma sentendosi pari agli altri, fratello fra fratelli, umanamente e cristianamente ». Così Pierluigi Castagnetti, ultimo segretario del Partito Popolare italiano.

Il cambiamento dopo la profonda ferita di tangentopoli. Ed è ancora Pierluigi Castagnetti a ricordare come la ferita di tangentopoli e di “mani pulite” avesse messo a nudo il declino morale dello Stato e di tutto il sistema politico: «la Dc che, al di là delle miserie di una parte dei suoi uomini, ne rappresentava l’asse, ha finito inevitabilmente per pagare il prezzo maggiore…volevamo un cambiamento che desse più spazio alla società, più equità ai cittadini, che ridefinisse le regole, la moralità, l’autorevolezza di uno Stato concepito come Stato dal valore umano».

Un politico, ma non troppo, uno strano democristiano. Per ricordare la persona ed il politico Mino Martinazzoli, è indispensabile reinterpretare il ruolo del partito che era stato di Sturzo: «meno governo, meno potere e più progetto» (Mino Martinazzoli), un partito di battaglia quindi, capace di giocare la sua sorte in una condizione di ricominciamento. «Potevamo essere più democristiani di prima: meno il nostro potere, di più le nostre idee e il nostro progetto».

La concretezza dei piccoli gesti. Il senso della concretezza e del realismo hanno caratterizzato le scelte di Martinazzoli (in particolare quando fu ministro della Giustizia), soprattutto per quanto concerne i temi della giustizia, del mondo penale e carcerario: «occorre vivere grandi ideali per il Paese, con la concretezza dei piccoli gesti quotidiani che sono essenziali per far camminare sul serio la storia».

Puntare su ciò che unisce. Mino Martinazzoli, in tutta la sua vita personale e politica, cercò di far prevalere ciò che costantemente unisce, perché «in ogni Paese ciò che unisce è di gran lunga più importante di ciò che può dividere».

Un cristiano autentico nella fede quotidiana. Ai funerali di Mino Martinazzoli, il prof. Frigo (già giudice della Corte Costituzionale), disse queste parole: «Mino era (ed è) profondamente cristiano, interprete della fede nella sua quotidianità “, ricordando il suo stile di vita «sobrio, semplice, amava essere (ed essere considerato) un uomo comune, rifuggiva – quasi inorridito – da ogni forma di esibizionismo. Era sempre pronto ad ascoltare, a dialogare, specialmente con i più umili e i più deboli, generoso e comprensivo nei giudizi, alieno dalle facili e sbrigative condanne, ma assolutamente rigoroso e intransigente nel rispetto delle regole».

Ecco chi è stato Mino Martinazzoli, un uomo di altri tempi ma, nello stesso tempo, un profeta dei tempi moderni e per i rappresentanti odierni delle istituzioni e della politica che dovrebbero cercare di riscoprire ( e di imparare ad esercitare nei piccoli gesti quotidiani…) i valori della mitezza e del dialogo nonché dello spirito di amicizia e di fratellanza che hanno contraddistinto il percorso umano e politico di questo straordinario  cultore della politica mite.

 

Le citazioni sono tratte tutte dal libro “Il cambiamento possibile”

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