Martha Graham e Otello

Ha attraversato il Novecento dalle mille rivoluzioni dei costumi e dello spirito, lasciando un segno indelebile di creatività che ancora oggi non conosce il passare del tempo. La sua modern dance – diventata un metodo e una tecnica – si è impregnata di simboli, di mitologia, di scritture, di asprezze, fino all’astrazione delle ultime creazioni affidate ad una strepitosa compagnia che porta il suo nome, tramandandone il vastissimo patrimonio coreografico. Ospite del Ravenna Festival e dell’Operaestate Festival Veneto di Bassano, la Martha Graham Dance Company ha entusiasmato il pubblico con un programma articolato. Acts of light, (1981), diviso in Conversation of lovers, Lament e Ritual to the sun, rappresenta una summa della tecnica grahamiana. Al lirico duetto d’amore segue il potente assolo Lament, una mirabile sintesi di concentrazione del movimento in pochi tratti interiorizzati, eseguiti dentro un costume elasticizzato che riflette linee e tensioni del corpo come ondate di emozioni. Il terzo è un solare inno alla vita stemperato in un’atmosfera calda e luminosa accesa dai costumi giallooro. Il getto fluido e stilizzato della danza, sostenuta dalla musica neoromantica del danese Carl Nielsen, ingloba il movimento corale dei corpi in un unico travolgente dinamismo. Cave of the heart, del1946, è la teatralizzazione del mito di Medea e del potere distruttivo della passione. I personaggi sono scolpiti nella forza del disegno plastico con l’apporto dell’artista Isamu Noguchi, i cui elementi scenici assunti dagli interpreti in sé stessi diventano danza. Sketches from Chronicle, del 1936, anch’esso di tre brani, è ispirato alla guerra civile spagnola e più universalmente alle conseguenze devastanti sullo spirito. Con la sua gestualità potente, virile, dal taglio espressionista, un gruppo di donne in nero simili ad amazzoni, marciano minacciose e s’affrontano in formazioni nemiche ruotando attorno alla figura protagonista. Le danzatrici offrono qui un’altissima prova di affiatamento collettivo nel tradurre con slancio e dinamismo una coreografia attualissima, di pura astrazione. Ripagate dagli applausi scroscianti e calorosissimi di un pubblico entusiasta. OTELLO DA HANNOVER Fra i nostri coreografi all’estero costretti a migrare per mancanza di lavoro c’è Mauro De Candia, attivo da anni al Balletto di Hannover. Tra le creazioni per i giovani solisti della compagnia c’è un suo Otello da iscrivere tra le versioni coreografiche più intense ed accreditate dell’opera scespiriana. La rilettura di De Candia ci ha fatto ricordare quella di Fabrizio Monteverde per il Balletto di Toscana, che ha in comune con questa, cupa e severa, un lavoro particolare sia in seno alla originale partitura musicale (qui di Gorecky, Ligesti, Sumera), sia nei riguardi del testo, rivelando il senso non comune della drammaturgia asservita alla danza. Coi ballerini in rigorosi costumi scuri, il suo disegno contemporaneo punta essenzialmente ad approfondire le psicologie dei personaggi con un linguaggio gestuale di pregnante simbolismo, per concentrarsi sul terribile gioco mentale innescato da Jago. I movimenti, in un crescendo insinuante, fanno assumere alla tragedia i contorni di un modernissimo psicodramma dove la potenza evocativa degli assoli sfuma in quella di gruppi e di duetti, con lievi irrigidimenti e una fluidità ner- vosa. Con sequenze struggenti: come quella tra il perfido Jago e la moglie Emilia sullo sfondo di pareti trasparenti dall’oscuro riflesso. La presenza di una teca d’acqua illuminata dove specchiarsi serve infine a stravolgere la struttura narrativa del finale nel quale De Candia, togliendo ogni patina di negritudine al Moro, lo fa infine perire suicida dopo aver affogato l’amata Desdemona. Spettacolo che ricorderemo.

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