Marras: diari e appunti di un uomo irrequieto
Il Triennale Design Museum di Milano, dal 21 ottobre al 21 gennaio 2017, espone lungo le pareti della Curva della Triennale, più di 500 disegni e dipinti, del più intellettuale degli stilisti italiani, in 1200 metri quadrati, tra quotidiano e surreale. La curatrice Francesca Alfano Miglietti segue traiettorie inedite di contaminazioni fra linguaggi, di centinaia e migliaia di frammenti, di stracci, di fotografie, di objet trouvèe, di installazioni, di accumuli, di viaggi e di incursioni nel cinema, nell’ arte, nella letteratura, nel teatro. Antonio Marras, Laurea Honoris Causa in Arti Visive all’ Accademia di Brera nel 2013, custodisce una purezza originaria, sapida delle sue radici come i lavori con Maria Lai ad Alghero, Llencols de aigua, Lenzuola d’ acqua, tratto distintivo della sua ricerca nella moda, unione di tutti i linguaggi dell’arte.
Nulla dies sine linea rimanda alla famosa frase dello storico romano Plinio il Vecchio che nella Naturalis Historia riferisce la locuzione del pittore Apelle che “non lasciava passare giorno senza tratteggiare una linea”, senza “lasciare una traccia di sé”, del suo immaginario e del suo vissuto. Antonio Marras, protagonista della Biennale di Venezia nel 2011, non lascia passare giorno senza tracciare mappe, “segnare “territori, organizzare voci e silenzi nell’ intreccio tra iconografo e letterato, stilista e poeta.
Nulla dies sine linea riprende il concetto dell’esperire di Eperienza e natura di John Dewey, “corrente della vita”, erlebnisse. L’ esperienza non è coscienza di realtà chiare e distinte come per James e Peirce. E’ storia, in un mondo pieno di pericoli, oscurità, dubbi, conflitti, irrazionalità. “Il mondo- osserva Dewey – è la scena del rischio. E’ incerto, instabile, terribilmente instabile”.
Per Antonio Marras si tratta di sperimentare cio’ che è contraddittorio perché vada semplicemente espresso, riordinare il caos. L’ esperienza di cui parla Antonio Marras è primitiva, indiscriminata, grezza e abbraccia l’intero mondo degli eventi, delle persone e degli incontri. “In certe circostanze l’uomo ha in pregio ciò che è distinto e chiaramente vivente – osserva Dewey -. Ma non è meno importante sapere che in altre circostanze fuoriesce ciò che è crepuscolare, vago, oscuro, misterioso”.
La curatela di Francesca Alfano Miglietti è il modo di interrogarsi e di porre in dubbio proprio di chi ha messo tutto in discussione. Antonio Marras prende le mosse da un’incompiutezza intenzionale che preferisce lasciare irrisolti alcuni aspetti, vivere l’aporia, il problema insolubile, la contraddizione insuperabile.
La citazione di Underworld di Don DeLillo da parte della curatrice Francesca Alfano Miglietti, si riferisce appunto allo stile frammentario e frammentato di Sergej Ejzenstejn, per cui parti del romanzo sono cronologicamente invertite a ritroso, dal 1992 al 1951. Il prospettivismo, il principio di indeterminazione di Heisenberg, la teoria della relatività di Einstein e il dispositivo pulsionale dell’es freudiano lasciano aperte esegesi e traiettorie infinite. “Ognuno di voi vedrà una mostra differente- osserva Francesca Alfano Miglietti-. Questa è una mostra che ha moltissimo corpo, profumo. Marras pensa che qualsiasi oggetto, qualsiasi foglio di carta ha un’altra possibilità di vita “.
Le atmosphere rooms di Antonio Marras sono un riferimento agli allestimenti di Alexander Dormer del 1923 che ha portato l’arte ad essere vita. Questa prima retrospettiva di Antonio Marras non risulta rapsodica. E’ intimamente coesa dal moto creativo originario tra incanto e stupore. Non “produce” bellezza, si esprime nella bellezza stessa, nella poesia del quotidiano e delle cose stesse. Antonio costruisce ogni opera come una storia. Tutto è sospeso. Le imperfezioni, le macchie, lo scarto, più che un’obiezione alla bellezza sono il segreto della poesia stessa.
La monografia pubblicata in occasione della mostra, a cura di Francesca Alfano Miglietti, comprende testimonianze di poeti, musicisti, scrittori, artisti, giornalisti ad evidenziare quanto i rapporti siano per Antonio elementi poetici e parte del suo percorso solitario.
Le icone sono sostituite nelle teche da oggetti, accenni, accumuli, intenzioni alla ricerca di ciò che è tutto puro, tutto originario, tutto integrale, tutto autentico, tutto semplice, tutto sacro nel quotidiano, in un viaggio a ritroso nel suo lavoro e nella sua vita.
A concludere l’esposizione “Vita, diari e appunti di un uomo irrequieto”, il racconto di una vita e di un pensiero nomade, che evita schemi. Nella sua visione, anno dopo anno, le sue creazioni parlano dell’identità di esiliati e di rifugiati, del multiculturalismo, del mondo e del destino.
Milano, Triennale Design Museum, 21 ottobre 2016 – 21 gennaio 2017.