Marocco, il papa di nuovo tra i musulmani
Così dice a Città Nuova Youssef Sbai, già tra i quadri dirigenti della maggiore associazione di musulmani in Italia, l’Ucoii, oggi ricercatore e accademico a Padova: «Trent’anni dopo la visita storica di Giovanni Paolo II in Marocco, papa Francesco risponde all’invito di re Mohammed VI e decide di recarsi in un “pellegrinaggio di pace e di fratellanza”. La visita questa volta avviene in un contesto globale diverso da tre decenni fa. Il mondo è cambiato, sono cambiate le società, le tendenze e nuovi fenomeni hanno visto la luce. Tra l’odio e l’amore, la pace e la violenza, i ponti e i muri, la barca dell’umanità sembra essere smarrita in un mare sconosciuto e agitato. E qui che il ruolo dei religiosi coraggiosi e illuminati diventa necessario». Come a dire: all’epoca non c’erano state le Torri gemelle, non c’era stato il Daesh, non c’erano state le guerre di Kuwait, d’Iraq, di Libia e di Siria – e nemmeno di Mali, Niger e Burkina Faso –, non c’erano stati gli attentati in Francia, in Germania e Danimarca… Non si pensava ancora che tanta, troppa gente utilizzasse il nome di Dio per scatenare guerre, terrore e violenze.
Continua perciò Youssef Sbai: «Papa Francesco a capo della Chiesa cattolica e re Mohammed VI, “Principe dei credenti” (Amir Al-Muminin) hanno enfatizzato il giusto ruolo della religione nella società odierna. La religione cioè che unisce i popoli e non li divide, che costruisce la pace e non la violenza, i ponti e non i muri, che diffonde l’amore e non l’odio e che premia la solidarietà e non l’egoismo. Come musulmano e come marocchino esprimo la mia gioia e la mia felicità per la visita di papa Francesco in Marocco e esprimo la mia fiducia e la mia speranza in un mondo migliore finché esistono gli artigiani della pace. Benvenuto papa Francesco in Marocco».
Il Marocco, va detto, nel mondo musulmano nordafricano e mediorientale ha un ruolo tutto suo e sempre più riconosciuto, sia perché ha avuto dei governanti illuminati che hanno portato la propria popolazione, attraverso riforme calibrate e progressive soprattutto del diritto di famiglia e del diritto civile e commerciale, a far incontrare la tradizione islamica con certi aspetti della modernità proveniente dall’Europa, sia perché ha saputo sostanzialmente tenersi fuori dai conflitti che hanno insanguinato il mondo musulmano mediorientale. A parte il lunghissimo (dal 1973) e oggi congelato conflitto locale sul suo fronte meridionale (per una questione di sovranità su alcuni territori desertici) con il Polisario, che ha dato vita a uno Stato riconosciuto da 76 altri Stati ma non dall’Onu, la Repubblica Democratica araba del Sahrawi, il Marocco non ha “conti aperti”.
Lo stesso terrorismo di al-Qaeda – 45 morti nel 2003 a Casablanca e 14 morti nel 2011 a Marrakech – non è riuscito a ottenere consensi tra la popolazione e attualmente il Marocco è uno dei Paesi più sicuri del Mediterraneo, il che ha permesso a Rabat di sostenere uno sviluppo economico notevole, assai diverso da quello dei vicini del Maghreb (il Pil oggi cresce annualmente attorno al 4%), pur in assenza di rilevanti fonti energetiche. La recente inaugurazione, nel novembre scorso, di un treno ad alta velocità tra Casablanca e Tangeri ne è in qualche modo il simbolo. Soprattutto, le autorità religiose marocchine hanno saputo proporre una applicazione della shari’a, la legge islamica, assai aggiornata alle mutazioni del mondo globalizzato.
È in questo Marocco che il papa si presenta “da pellegrino” (sì, si può essere cattolico e fare pellegrinaggi nel mondo islamico), per diffondere il messaggio di pace e fraternità che già ha avuto una tappa di grande importanza con la firma un paio di mesi fa ad Abu Dhabi del Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, che in calce ha visto anche la firma del rettore dell’Università al –Azhar del Cairo, il grande imam Ahmad Al-Tayyeb.
In qualche modo il papa mette alla prova la bontà del documento, per riaffermare e cercare di far partecipi i popoli musulmani di quel che vuol propugnare tale documento, cioè che sia un «invito alla riconciliazione e alla fratellanza tra tutti i credenti, anzi tra i credenti e i non credenti, e tra tutte le persone di buona volontà; sia un appello a ogni coscienza viva che ripudia la violenza aberrante e l’estremismo cieco; appello a chi ama i valori di tolleranza e di fratellanza, promossi e incoraggiati dalle religioni; sia una testimonianza della grandezza della fede in Dio che unisce i cuori divisi ed eleva l’animo umano; sia un simbolo dell’abbraccio tra Oriente e Occidente, tra Nord e Sud e tra tutti coloro che credono che Dio ci abbia creati per conoscerci, per cooperare tra di noi e per vivere come fratelli che si amano».
Il papa si presenta con il suo capitale di gioia che sembra andare incontro alla natura stessa del popolo marocchino, che noi italiani conosciamo bene, perché la più grande comunità straniera (non proveniente dall’Europa) in Italia è proprio proveniente dal Paese maghrebino, con poco meno di mezzo milioni di presenze.
In programma oggi, 30 marzo, sulla spianata della Moschea Hassan, l’incontro con il popolo marocchino, le autorità, la società civile e il corpo diplomatico. Quindi la visita al Mausoleo di Mohammed V e la visita di cortesia al re nel Palazzo reale. Poi l’importante visita, in chiave di dialogo interreligioso, all’Istituto Mohammed VI degli imam, dei predicatori e delle predicatrici, cui farà seguito – e non poteva mancare – l’incontro con i migranti nella sede della Caritas diocesana. Domani, 31 marzo, si svolgerà una visita privata del papa al centro rurale per i servizi sociali di Témara, seguita dall’incontro con i sacerdoti, i religiosi, i consacrati e il Consiglio ecumenico delle Chiese nella cattedrale di Rabat, da cui pronuncerà l’Angelus. Dopo il pranzo, nel complesso sportivo Principe Moulay Abdellah, si svolgerà l’ultimo appuntamento in terra marocchina, cioè la messa. Il papa atterrerà all’aeroporto di Ciampino verso le 21.30.