Marò, la Corte suprema chiede chiarezza

Si riaccende improvvisamente l'interesse per il destino dei due italiani in attesa di un processo da quasi due anni. Il maggior organo giudiziario indiano ha sollecitato il governo affinché formuli un chiaro capo d'accusa e trovi una soluzione in tempi brevi
Rientro in Italia dei marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre

Negli ultimi giorni si è improvvisamente riacceso l’interesse per la questione dei due marò italiani ancora in attesa di processo per l’uccisione di due pescatori al largo della penisola indiana. Come era stato ampiamente previsto, la questione è ormai vicina ai due anni di trascinamento giudiziario da parte dell’India e di tentennamenti piuttosto confusi da parte del nostro governo.

Le ultime due settimane hanno, tuttavia, visto un'offensiva diplomatica che ha esercitato su New Delhi una pressione opportuna perché si arrivi almeno alla formulazione di un chiaro capo d’accusa. Anche se la questione è tutt’altro che risolta – non dobbiamo dimenticare che le elezioni indiane sono alle porte e uno dei candidati è Rahul Gandhi, figlio di Rajiv e dell’italiana Sonia – almeno è stato emesso un giudizio importante dalla Corte suprema.

Il maggior organo giudiziario indiano ha raccomandato al governo di trovare una soluzione alla questione in tempi brevi e con formulazioni genuine. B.S. Chauhan e Justice J. Chelameswar, i due giudici preposti al caso in sede di Corte suprema, hanno sottolineato di non avere obiezioni al caso, a patto che ci sia un impegno chiaro a trovare una soluzione in merito. Nel frattempo il pubblico ministero ha dovuto ammettere che alcuni testimoni che avevano dichiarato di essere pronti a testimoniare in tribunale non si sono presentati all’udienza, creando imbarazzo e ulteriori ritardi.

In effetti, a due anni dall’atto criminale e a un anno dal trasferimento del caso dalla Corte del Kerala a quella di New Delhi, non esiste ancora un capo d’accusa chiaro e tanto meno formulato. I due italiani sono in attesa di un processo da parte delle autorità indiane da quasi due anni. Lo scorso anno le autorità del Paese asiatico avevano assicurato che si sarebbe formato un collegio di giudici con il mandato di affrontare il caso dei due italiani.

La seduta della Corte suprema è stata molto breve, non più di una decina di minuti, e ci si attende ora nel giro di due settimane che si arrivi a un accordo fra le parti coinvolte all’interno dell’amministrazione stessa dell’India, dove esistono conflitti di competenza e di attribuzione del caso, nonché – punto fondamentale – del tipo di legislazione da applicare al caso in questione. Intanto la stampa indiana ha fatto, nuovamente, circolare congetture sulla possibilità che venga applicata ai due marines italiani la Sua Act, la legge antiterrorismo che prevede pene fino alla pena di morte.

L’Italia sta pagando, più che mai in questi giorni, un comportamento diplomatico che, fin dall’inizio di questa intricata vicenda, si è rivelato piuttosto confuso. La pressione esercitato negli ultimi giorni ha, senza dubbio, contribuito a ravvivare l’interesse sia nazionale che internazionale – in sede Europea – per il caso. Tutto, comunque, resta ancora pericolosamente in bilico.

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