Marmolada, madre roccia

Uno straordinario documentario Sky Original racconta l’apertura di una nuova via sulla parete sud della Marmolada, mostrando gli effetti dirompenti del cambiamento climatico e dell’emergenza climatica

Uomini e pietre, col vento che accarezza le cime e l’infinito a un passo. Uomini davanti a un “muro alto mille metri”: la Marmolada, quando da sotto “alzi gli occhi al cielo”, dice uno dei protagonisti. Uno dei 4 (tra loro anche una donna) che si arrampicano per le vene di ciò che si può definire una magnifica espressione della “potenza della natura”. O di Dio, per i credenti. Di colui o colei, in ogni caso, che “qui ha costruito una cosa unica”, spiegano ancora gli esseri umani al centro del potente documentario Sky Original intolato Marmolada. Madre Roccia, realizzato dalla Coldfocus di Matteo Maggi e Cristiana Pecci, presentato all’ultimo festival del cinema di Trento e trasmesso il prossimo lunedì 16 settembre alle 21.15, in prima visione su Sky Nature, e in streaming su Now. 

Cercano linee di fantasia, strade verticali ancora non scoperte, non battute, gli scalatori di questo racconto spesso mozzafiato ma anche intimo e riflessivo. Sanno quel che fanno, anche se una percentuale di rischio, quando sei appeso nel vuoto, su una parete selvaggia, gigantesca, non puoi non metterlo in conto. Ed é una  consapevolezza che può essere di notevole aiuto.

Matteo della Bordella, Maurizio Giordani Massimo Faletti.

A guidarli c’è Matteo della Bordella, alpinista professionista, e dietro di lui Maurizio Giordani, alpinista anch’egli e grande conoscitore della Marmolada. Di vie, lassù, ne ha aperte più di 50 tra le 198 tracciate sulla parete sud. Poi c’è Massimo Faletti, guida alpina che mette la sua competenza (anche) in progetti sociali: lavora per La casa di Giano, una cooperativa che si occupa del recupero dei tossicodipendenti attraverso la montagna. L’adrenalina naturale può aiutare chi ha avuto problemi di quel tipo, facilitando la cura delle dipendenze, spiega Massimo con la sua spontaneità:

«È una cosa bella riuscire a dare delle opportunità a persone che si sono un po’ perse», aggiunge, con una sensibilità che si allunga fino al tema dell’ambiente, dei cambiamenti climatici e del rispetto della natura. Lui (e non solo lui) ne parla in questo documentario che entra delicatamente, ma in modo incisivo, nel discorso dell’ecologia. Massimo stesso sale sul ghiacciaio della Marmolada insieme ad Alessandro Fellin, ingegnere ambientale che collabora con la commissione glaciologica della sezione trentina del CAI. Insieme lo osservano rimpicciolito per l’innalzamento delle temperature, con il rumore dell’acqua che scorre sotto la coltre bianca.

Quel ghiacciaio fu teatro di una tragedia nell’estate del 2022, quando un grande seracco si staccó provocando 11 vittime. Una foto, drammaticamente, mette a paragone una immagine del ghiacciaio nel 1910 con una del 2021, con un notevole ridimensionamento del suo volume. «Uno studio del Cnr e del comitato glaciologico italiano − spiega Fellin − prevede la fine del ghiacciao della marmolada attorno all’anno 2050». Qualcuno ricorda come lo si viveva d’estate, una volta, qualcun altro parla del paradosso del bel tempo in montagna, che può rappresentare addirittura un segnale di pericolo, visto l’innalzamento delle temperature.

Nel frattempo il gruppo, al quale si è aggiunta Iris Bielli, giovane e talentuosa climber, prosegue nei giorni (che alla fine saranno 7) della grande avventura.

Ad osservarli, ai piedi della parete, c’è l’occhio attento di Dante Del Bon, il rifugista che sa chi va e chi viene, che capisce di montagna e se serve tranquillizza pure i cari degli alpinisti a casa, che lassù sta andando tutto bene.

La sua famiglia gestisce da oltre 70 anni il Rifugio Falier, a 2074 metri di altitudine, nella valle di Ombretta, ai piedi della “Parete d’argento”. È un luogo di arrivo per gli escursionisti e di partenza per gli alpinisti, questo meraviglioso rifugio. È una testimonianza storica di questo territorio e di questa vetta delle dolomiti, come l’intero documentario lo è, in qualche modo, dell’alpinismo, a partire dalla citazione di Beatrice Tomasson che nel 1901 aprì la prima via della Marmolada. Di questa Meraviglia sulla quale, del resto, è stata scritta la storia dell’alpinismo.

È sopratutto, però, il documentario Marmolada. Madre roccia un viaggio nel mondo di chi sviluppa con la montagna un rapporto incredibilmente viscerale. Di chi la vive nel modo più profondo possibile, con quell’arrampicarsi che é anche metaforico: desiderio di contenere l’impossibile che ci rapisce, di entrare nell’enormità che ci conquista, di amare enormemente la natura.

Dei 4 alpinisti osserviamo la tecnica, la tensione muscolare, l’opera di arrampicata, ma ascoltiamo anche le loro riflessioni sapienti sul rapporto tra l’uomo e la natura stessa, tra noi umani, piccoli, e l’immensità della grande parete rocciosa. A sua volta circondata dagli alberi, i prati e gli animali di un territorio di cui i protagonisti stessi fanno parte, che amano e rispettano, così come portano un rispetto profondo a quella montagna che è vita ma che gli ha pure portato via persone care. Per lei, in generale e per la Marmolada in particolare, all’interno di questo documentario che ti rimane addosso per bellezza ed originalità, che non solo visivamente é molto bello, usano parole stupende: «Sono un granello di polvere rispetto a una parete del genere»; sono una «formichina dispersa in un oceano di roccia, però è una sensazione piacevole perché ti senti libero e allo stesso tempo avvolto da questa parete come in un abbraccio materno».

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