Marina e l’epopea dei valdesi

L’ultimo romanzo di Marina Jarre: un omaggio ad una minoranza religiosa perseguitata

Piemonte, quasi al confine con la Francia. Nella cerchia delle Alpi Cozie settentrionali si apre come uno scrigno di bellezza la Val Pellice, così detta dal nome del torrente che l’attraversa bagnando lo stesso capoluogo della comunità montana: Torre Pellice. Chi da un’altura spazia con lo sguardo sulla sottostante vallata, specie in una giornata di azzurro e di sole, trova lo spettacolo incantevole ed è invaso da sentimenti di pace, ignaro forse che in un lontano passato questi stessi territori, contesi da feudatari, Savoia, francesi, furono sconvolti da sanguinose lotte fratricide. In particolare, tra Cinquecento e Ottocento, la Val Pellice – insieme alle vicine Val Chisone e Valle Germanasca – conobbe violente persecuzioni antivaldesi e conversioni forzate al cattolicesimo, per evitare le quali molti di quei cristiani aderenti alla Riforma protestante furono costretti ad espatriare.

Acqua passata ormai: da tempo tra la Chiesa evangelica valdese e la Chiesa cattolica si è sviluppato un dialogo ecumenico che ha registrato come risultato concreto, negli anni Novanta del secolo scorso, l’accordo sui matrimoni misti. Nondimeno il 22 giugno 2015, nella sua storica visita al Tempio valdese di Torino, papa Francesco ha sentito il bisogno di chiedere perdono, a nome dei cattolici, «per gli atteggiamenti e i comportamenti non cristiani, persino non umani che, nella storia, abbiamo avuto contro di voi».

A Torre Pellice, capitale italiana del mondo valdese, sono legati alcuni personaggi di spicco del nostro tempo come il teologo Paolo Ricca, che vi è nato, e la scrittrice e drammaturga Marina Jarre, morta novantunenne lo scorso luglio, che vi ha trascorso l’adolescenza. Della Jarre, venuta alla luce a Riga da padre ebreo lèttone e madre valdese italiana, vincitrice nel 2004 del Premio Grinzane Cavour per “Ritorno in Lettonia” (Einaudi), l’editrice Claudiana ha pubblicato vari testi. Ultimo, il romanzo “Ascanio e Margherita”, che per chi non la sa o poco ne ha sentito, affronta l’epopea vissuta ai piedi delle Alpi piemontesi dalla minoranza religiosa dei seguaci di Valdo.

È la stessa autrice a parlarne: «Diversamente dal tradizionale romanzo storico in cui la storia offre lo sfondo alla vicenda, qui la storia del XVII secolo si fa protagonista, non soltanto nel suo svolgersi effettivo ma soprattutto nel suo intromettersi nel legame fra i due giovani protagonisti, separandoli con la crudele ragion di Stato delle diversità di fede religiosa. Così nel Piemonte ducale del XVII secolo, Margherita, montanara valdese, decide di non cedere all’amore del nobile cattolico Ascanio e sposa il cugino, al quale è stata promessa e con cui, oltre alla fede, divide le tragedie della guerra e dell’esilio».

Questa lettura ci fa apprezzare una scrittrice, la Jarre, che ha sempre vissuto appartata, quasi estranea al mondo culturale del suo tempo, perché al parlare ha sempre preferito lo scrivere. «Scrivendo –dichiarava in una intervista di ”Repubblica” del 2014 – restituisco i miei vari strati: i dolori come le gioie, le frastornate vicende accadute. È l’accumulo delle cose che mi interessa, la polvere che si toglie dalla vita. Scrivere è una forma di chiarezza, di onestà con sé stessi».

 

 

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