Marie Heurtin – dal buio alla luce

Dalla buia solitudine di una ragazza nata ceca e sorda alla luce del rapporto con gli altri e alla preghiera. Una storia vera di fine ottocento.
MARIE HEURTIN- DAL BUIO ALLA LUCE

Se qualcuno ricorda Il ragazzo selvaggio di Truffaut ha un buon termine di riferimento per capire la portata dell'attuale film del regista, anche questo francese, Jean-Pierre Ameris, che ha ricreata sullo schermo la storia analoga di una ragazza ceca e muta, nata nel 1885 in una povera casa di campagna. Questa, però, non era ad uno stato completamente selvaggio, ma i genitori pur buoni non erano stati in grado di darle un'educazione adeguata e lei conservava comportamenti animaleschi e temeva chiunque.

Il padre la consegnò ad un istituto di suore vicino a Poitiers, che ospitavano ragazze sordomute.  Una giovane suora, molto generosa, incominciò a seguirla con vero entusiasmo. Con metodi ingegnosi e molta pazienza riuscì ad insegnarle associazioni di gesti semplici a vari oggetti, dandole la possibilità di incominciare un dialogo, importante per rapportarsi con gli altri. Il processo educativo andò avanti fino ad arrivare alla capacità di distaccarsi dalla persona cui si era affezionata, di concepire l'esistenza di Dio, vicino e presente in tutte le cose, e di pregare.

Non è la prima volta che si affronta la vicenda di questa ragazza, in riferimento alla quale sono stati scritti libri e girato un film nei primi anni del novecento. L'attuale film, che ha vinto premi e riconoscimenti e che ora esce in Italia, è perfettamente godibile, avvincendo da cima a fondo nel mostrare come vengono affrontate le varie difficoltà, sempre nuove e via via più gravi. È ammirevole la descrizione degli stati d'animo, quello vivace e intraprendente della suora, che mette da parte i suoi seri problemi di salute, e quello fortemente apprensivo della ragazza, interpretata dalla brava attrice sordomuta Ariana Rivoire. E si riesce a percepire il mondo così come può apparire usufruendo solo del tatto e dell’odorato, intuendone la bellezza proclamata dalla adolescente nei momenti di gioia.

Notevole la scena dell’apprendimento della realtà della morte, intesa come negazione della vita biologica e come chiamata di Dio, conseguito toccando il viso di una suora morta alla presenza della suorina insegnante. Sublime la scena, ripresa dall’'alto, in cui la ragazza al cimitero innalza una preghiera al cielo, recitandola e muovendo le mani come in una danza. Un progresso molto grande della sua persona, dal buio alla luce, sostenuto dall'amore fresco e giovanile, maturo e pieno di saggezza della benefattrice, ben interpreta dall’attrice Isabelle Carré.

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