Maria Voce: “O si dialoga e si lavora per il bene o ci si combatte”
«Ci si domanda oggi, dopo gli omicidi di Parigi e le stragi in Nigeria e in Pakistan, se sia necessario il dialogo tra persone di religioni e culture diverse. Io mi permetto di ribaltare il quesito: si può vivere senza il dialogo in un mondo ormai globalizzato? In un pianeta dove, ai crescenti flussi migratori volontari per ragioni di lavoro o altro, si aggiungono intere popolazioni costrette a fuggire per le persecuzioni in atto in vari punti del mondo. Sradicate dal loro mondo e dal loro futuro, vengono forzatamente a trovarsi a convivere con persone di etnie, culture, opinioni e fedi diverse.
Pressante è la domanda nei nostri Paesi occidentali: come si vive con queste persone? La risposta è chiara: o si dialoga o ci si combatte gli uni gli altri. Ma combattersi porta alla distruzione, tanto dei residenti come degli immigrati. Mentre l’apertura e il dialogo creano vita e portano alla vita, perché il dialogo tra persone di credi diversi conduce sempre a costruire insieme qualcosa di valido per il bene della società in cui vivono e dell’intera umanità, perché ogni azione si fonda sul fatto di essersi riconosciuti fratelli. L’ho potuto costatare nei viaggi compiuti nei drammatici contesti del Medio Oriente, del’Africa e dell’Asia. Il coraggioso impegno per il dialogo è vissuto da bambini nelle scuole, da famiglie con i loro vicini, da tante persone negli ambienti di lavoro.
Il dialogo più efficace è quello che poggia sulla vita, sulla condivisione dell’esistenza quotidiana; non inizia tanto da un immediato confronto tra le idee, perché è indispensabile partire dalla conoscenza dell’altro – e non dalla religione dell’altro – per poter scoprire il vincolo di fraternità che lega tutti gli esseri umani. Su questa base si può innestare la comprensione della fede dell’altro per poterla rispettare fino in fondo, in modo che il dialogo risulti realmente costruttivo e non si limiti ad una convivenza non belligerante che impedisce di costruire assieme il comune futuro.
Solo in questo dialogo si scopre che ognuno ha qualcosa da donare all’altro e si costata che la diversità non è necessariamente motivo di opposizione, ma può essere motivo di arricchimento reciproco. E veramente ci si arricchisce, perché Dio è generoso e sparge i suoi doni in tutti gli uomini, a qualsiasi fede appartengano. Scoprirlo ci rende tutti più ricchi e anche più liberi nel rapporto reciproco.
In questo processo è di particolare luce quello che Papa Francesco manifesta con la parola e con i suoi atteggiamenti, sottolineando l’accoglienza, l’empatia, l’ascolto pieno delle ragioni dell’altro. Il Papa parla tanto di amicizia, invita a rapportarsi con gli altri da fratelli e da amici, da persone che sanno capirsi e sanno valorizzare i beni che trovano gli uni negli altri.
Altrettanto preziosa l’indicazione del Papa a non fare sconti sulla nostra identità di cristiani, in modo da prepararci a questo dialogo, perché resta vero che possiamo dialogare solamente se siamo profondamente e autenticamente cristiani. Il nostro dialogo deve partire dalla consapevolezza che ogni incontro può essere una occasione per poter donare all’altro i valori del nostro essere cristiani, senza imporli, ma con delicatezza, certi che è un tesoro di cui anche gli altri hanno diritto di partecipare.
Ho costatato tante volte che, quando si dialoga, si individuano i temi comuni su cui trovare soluzioni e avviare iniziative condivise. Decisivo è lo spirito con cui si affrontano le problematiche. Se lo spirito è rafforzato da una spiritualità – cioè da una concezione della vita che promana da una spiritualità – porta non solo a valorizzare tutto quello che di bene c’è nell’altro, a scoprire i doni di Dio presenti in ogni tradizione religiosa, a metterli in luce, ma anche a farli progredire. Quindi un cristiano o un musulmano sono migliori camminando sulla strada del dialogo e scoprono che si progredisce insieme e che questo progresso porta ad opere comuni, ad incominciare dalla pace, che vanno a beneficio di tutta l’umanità.