Maria, progettista di salute

«Spesso mi sono chiesta cosa posso lasciare a Samuele... Ci ho pensato a lungo. Alla fine mi sono detta che l'unica cosa che posso lasciargli sono le relazioni. E, in fin dei conti, qual è il dono più grande - se non questo - da lasciare a un figlio?». Maria, in lotta con una grave malattia per la quale aveva già dovuto affrontare due operazioni e diversi cicli di cura, sapeva che presto avrebbe dovuto separarsi da suo figlio, di nove anni.
Nella foto Maria insieme al marito e a Samuele da piccolo.

Le relazioni. Un’eredità insolita, a cui tanti di noi, se non tutti, non penseremmo. Un’eredità che non deriva dal non aver potuto accumulare ricchezze materiali, bensì un patrimonio strettamente legato al filo d’oro che ha caratterizzato tutta la sua vita. Filo che Maria ha intessuto con quanti ha incrociato ovunque: a Bari, dove è nata e cresciuta, a Taranto, dove ha avuto le prime esperienze lavorative, e poi a Inzago e dintorni, i paesi dell’hinterland milanese dove ha costruito la sua famiglia e dove lavorava come educatrice, coordinando il Servizio Minori e Famiglie del Comune di Melzo.

Maria e il piccolo Samuele.

Ovunque le relazioni, le persone, l’altro sono stati il riferimento del suo modo di essere: credere in ciascuno, credere che ognuno può essere protagonista nel rendere migliore il nostro mondo. Far sì che ciascuno creda in sé stesso e in quello che può fare era il suo modo di rapportarsi agli altri. In una società basata prevalentemente sull’affermazione competitiva del soggetto, in cui ognuno è impegnato a perseguire il proprio obiettivo, Maria ha portato avanti, praticandolo personalmente e lavorando professionalmente per costruirlo, un modello che, al contrario, non persegue l’affermazione del proprio diritto, ma favorisce l’affermazione del diritto dell’altro. Un modello di società sostenibile in cui relazionarsi con gli altri in modo da contribuire a sviluppare l’impegno civico di ognuno e generare una responsabilità collettiva all’interno della propria comunità.

Un approccio di tipo prosociale, che a sua volta genera prosocialità, inserendosi nel percorso culturale della società di ricerca del benessere e cercando di influenzarlo positivamente. Un approccio che, come ricordano Lucia e Tiziana, rende speciale anche le amicizie: «Sapevi lasciarci parlare e sfogare. Di te abbiamo impresso quel modo unico di dire le cose. Di scegliere le parole dandoci nuovi spunti di pensiero e una prospettiva diversa delle situazioni».

Così ogni rapporto non è fine a sé stesso, ma occasione di miglioramento per tutti, come altre amiche storiche di Bari sottolineano, perché, dice Nicla, «ciò che usciva dalla tua bocca andava sempre nella direzione di costruire qualcosa e di tracciare traiettorie per un nuovo mondo fatto di progetti e opportunità», mentre l’altra Tiziana sottolinea: «Ci hai insegnato a metterci sempre in discussione per comprendere gli altri. Non hai mai pensato che dolcezza significasse debolezza».

Con questo approccio alla vita, alla società e alle relazioni Maria ha affrontato anche il suo cammino con la malattia. Maria non era una coraggiosa o un’ottimista, era una progettista del cambiamento: sapeva osservare come i membri di una comunità gestiscono gli ostacoli che la vita ci offre e sostenere modi di gestire l’incertezza in grado di valorizzare il contributo corresponsabile di ognuno, fosse un alunno di 8 anni con disabilità, un assistente sociale o un gruppo di vicini di casa.

Con le stesse competenze osservava il dipanarsi del suo percorso personale, descriveva come il dato sanitario modificava le interazioni, come il discorso sulla patologia fisica, ancor più che la patologia stessa, modella l’identità e produce “il malato” o “l’eroe”. Su questo ha elaborato la sua terza via: «A cosa serve, a me e alla mia comunità che mi si giudichi una persona forte, speciale? Se diventa una mia qualità rimane anche un mio problema. Tanti individui malati più o meno capaci. Ma forse a me, a tutti noi, serve darsi occasioni per continuare a imparare, per continuare a poter scegliere come stare in questo mondo, per continuare a essere responsabili insieme della salute di ognuno».

Maria ha fatto della sua esperienza personale l’occasione per mettere in condivisione visioni e progetti di salute: come può essere gestita la sala d’attesa di un ambulatorio di chemioterapia? Quali architetture possono consentire agli spazi ospedalieri di non convogliare i discorsi dei pazienti unicamente sulla dicotomia malattia/guarigione? Come gestire la propria genitorialità inventando modi per condividere vita con il proprio bambino?

Maria, al centro, insieme alle sue amiche, durante le sue ultime feste di Natale, trascorse a Bari. Gennaio 2022.

Da progettista di salute, ha alimentato discorsi sia collettivi sia personali, continuando a partecipare attivamente ad occasioni per ripensare e promuovere comunità generative, chiedendosi se è possibile pensare ad opportunità di lavoro per una persona con un quadro sanitario che non lascia scampo, narrando di sale d’attesa-beauty farm, in cui sorseggiare un tè parlando di viaggi accessibili, raccontando di come una cannula sul petto possa diventare lo strumento con cui far parlare il proprio figlio con lo spazio immaginando le risposte aliene. Così ha creato il suo ultimo “gioiello”, un piccolo strumento che le consentiva di infilare scarpe e aprire porte: la moda all’ultimo grido di un bijou-passe-par-tout, il Comodamente.

Maria ha tracciato fino all’ultima riga della sua biografia da persona in salute. Quando ha terminato il suo viaggio terreno, un gruppo di suoi amici, di diverse provenienze, si sono incontrati, accomunati dal desiderio di trasformare il vuoto da lei lasciato in uno spazio per realizzare il suo progetto. La prima iniziativa è stata valorizzare la ricchezza di relazioni da lei costruite per trasformarle, con le donazioni per la raccolta “Aiutaci a continuare il progetto di Maria” sulla piattaforma GoFund.Me, in un patrimonio economico che possa aiutare Samuele e il suo papà a far fronte alle immediate necessità della famiglia e sostenere la sua crescita, proseguendo il progetto educativo della sua mamma.

Ma chissà quali prospettive potrà aprire il comportamento prosociale di Maria nella rete di relazioni che ha costruito e a partire da questa. Perché, come dicono le sue amiche: «Ricorderemo sempre con gioia il tuo sorriso, la tua voglia di vivere, la tua incredibile ironia, quanto hai creduto in ciascuno di noi e tutto quello che ci hai insegnato…, in particolare che tutti abbiamo tanto da donare e possiamo fare cose belle e importanti per rendere migliore questo mondo».

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