Maria, nome di ragazza

Una figura universale e imitabile. Riflessioni a partire dal libro edito da Città Nuova

Maria è il nome della mia terza figlia. Potrei dire che l’abbiamo scelto laicamente. Nessuna nonna o parente da onorare, nessuna tradizione a cui portare tributo.

Semplicemente Maria. Il nome di una giovane ragazza che in tempi lontanissimi ha cominciato a far parlare di sé, grazie ad una piccola comunità di persone che l’hanno conosciuta in Palestina e a poco più di una manciata di frasi che i quattro Vangeli le attribuiscono.

Una ragazza che, al di là delle sue aspettative, è diventata una delle icone religiose più celebrate, raffigurate e venerate della storia.

Un nome disarmante e semplice: un nome di ragazza. Una tradizione ingombrante e certamente un po’ stucchevole: almeno quanto gli epiteti che alla giovane ragazza sono stati nel tempo attribuiti dalla pietà popolare e dalla tradizione della Chiesa.

E allora, mi domando, c’è spazio per un pensiero mariano liberato da devozionismo e pietismo? Che cosa rimane di Maria se ci appoggiamo solamente a quello che dicono i Vangeli, senza presupporre di inventare quello che non dicono? Che rimane se collochiamo la narrazione evangelica nel tempo in cui è stata scritta, alla luce delle culture e delle conoscenze di allora, come l’esegesi più attenta si è abituata a fare da tempo?

Questa opera di spoliazione potrebbe giovare molto ad un cattolicesimo che spesso conosce derive miracolistiche ormai lontane dal sentire delle nuove generazioni. Così lontane da altre tradizioni cristiane e così poco digeribili per la cultura laica contemporanea. Lo stesso papa Francesco in un suo recente discorso ha proposto di evitare ogni riduzione mariana a sensibilità personali che preferiscono l’immagine di una Santina a cui ricorrere per ottenere favori, rispetto a quella di una “rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto”.

Torniamo al testo evangelico.

Torniamo a quelle poche e scarne parole tramandate, ai pochi gesti raccontati. Torniamo all’umanità che ispirano quelle pagine, che ci raccontano qualcosa di ancestrale della maternità e del femminile, che possono ispirare in qualche forma le nostre vite.

Penso sia stato questo uno dei principali contributi del pensiero di Chiara Lubich: avere riscoperto che c’era qualcosa di universale e di imitabile in questa storia di vita. Un cammino umano che si replica nella vita di ciascuno di noi, fatto di dettagli essenziali, come l’essere accolto in una famiglia, mettere al mondo un figlio, conoscere la paura, il dubbio, il dolore, avere amicizie e legami di parentela, pensare e osservare il mondo, stimolare il nuovo, resistere alla persecuzione e al tradimento, condividere gioie. Nel solco di quella intuizione, pensare Maria può essere uno stimolo a comprendere in profondità la nostra umanità.

Nessuna parola del Vangelo ci porta lontano dall’umano. Maria è una ragazza, Maria è una migrante che partorisce lontana da casa, Maria è una madre che accompagna il figlio nella crescita, Maria è una donna all’erta, sollecita a capire i bisogni degli altri, Maria non fugge di fronte alla prova di un figlio disonorato. Sono le corde della tenerezza e della passione, dell’intelligenza e della cura, che vengono mosse dalla sua storia. Non possiamo che sentirci empatici e in sintonia con questa maternità così ordinaria, fatta di carne e di pensieri, di intuizioni e di strazi, della pienezza della gioia e della follia del mondo.

I Vangeli sono pieni di donne, forti e fragili, e di uomini, coraggiosi e pavidi, che ci somigliano. Storie che continuamente ci dicono che il sacro, il mistero, il miracolo (non è fuori dal mondo ma) è nelle nostre relazioni, nell’amore che diventa generativo, nella fiducia che diventa creativa e sovverte le convenzioni, nella convivialità degli incontri, del pane e del vino condivisi.

È un imprinting d’amore che poco ha a che fare con quell’idea di destino, colpa, peccato che tanto spesso è stata associata a Maria.

Torniamo lì, alle nostre radici più profonde e vitali. Il Vangelo è un invito a vivere in pienezza la nostra umana condizione, tra le sue righe è nascosta la storia di ciascuno di noi.

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