Maria donna di pace per le religioni
«È possibile che i cristiani antichi e i musulmani avessero dei luoghi di culto dove pregare insieme? Noi non vogliamo fare questo, ma vogliamo dire: che cosa ci unisce? Non ci unisce la preghiera?». La dichiarazione di fratellanza del papa con i musulmani, afferma Stefano Cecchin, presidente della Pontificia Academia Mariana Internationalis (PAMI), ha un punto fondamentale: «quello che ci rende tutti fratelli non sono le nostre politiche. È la grazia di Dio che ci unisce. E noi vogliamo credere che – nonostante le differenze, gli attacchi e le violenze – possiamo trovare dei punti comuni dove rispettarci».
E di punti di incontro tra cristiani e musulmani Cecchin ne trova almeno due: l’alimentazione di cui tutti abbiamo bisogno e l’esperienza della nascita, che accomuna uomini e donne di tutte le religioni, e che significa passare per il grembo di una donna. Lo ha fatto Gesù e lo ha fatto Maometto. «Tutti – sottolinea Cecchin – siamo passati per il grembo di una donna e Maria potrebbe essere la madre accogliente che ci porta alla pace e alla serenità».
Maria, del resto, ha ricordato Amal Mussa Hussain Al-Rubaye, ambasciatrice dell’Iraq presso la Santa Sede, è l’unica donna ad essere citata nel Corano 31 volte. L’occasione per sottolinearlo è stata il convegno dal titolo “I datteri di Maria. Fraternità tra cristiani e musulmani”, che si è svolto il 13 maggio nell’auditorium della Pontificia università Antonianum di Roma.
Promosso dalla Comunità religiosa islamica italiana (COREIS), dalla Ponteficia università teologica Marianum e dall’Ambasciata dell’Iraq presso la Santa Sede, l’incontro ha preso il titolo da un episodio riportato sia nella tradizione cristiana antica che nel Corano. Il vangelo apocrifo dello pseudo Matteo, ha spiegato ancora Cecchin, racconta che mentre da Betlemme andavano in Egitto, Maria chiese a Giuseppe di riposare all’ombra di un’alta palma. La Madonna vide i datteri e ne desiderò uno, ma Giuseppe le disse che la palma era troppo alta e non era possibile prenderli. Gesù, che era in braccio a Maria, si svegliò e disse alla palma: Abbassa i tuoi rami e nutri mia madre.
Questo racconto, riportato anche nel protovangelo di Giacomo, è presente pure nel Corano. Nella Sura 19, infatti, si legge che i dolori del parto costrinsero Maria a riposare vicino ad una palma. Mentre soffriva per il travaglio, un angelo le gridò di non rattristarsi e le disse: Scuoti verso di te il tronco della pama e questa farà cadere su di te datteri freschi e maturi. Quella delle due palme – afferma Stefano Cecchin –, «mi ha fatto capire l’importanza di ritrovare similitudini tra le nostre religioni» e di scoprire «quello che ci unisce».
Il racconto della palma, ha spiegato l’ambasciatrice Amal Mussa Hussain Al-Rubaye, per i musulmani rappresenta un miracolo, perché nel periodo in cui Gesù è nato, tra il 24 e il 25 dicembre, i datteri non sono maturi, e perché la palma non si può scuotere perché è di legno duro.
Ma la palma è anche il simbolo dell’assunzione di Maria in cielo. Nel luogo in cui secondo la tradizione armena la Madonna si addormentò, tra Betlemme e Gerusalemme, si trovano oggi i resti della chiesa del Kathisma o del riposo di Maria. Quella chiesa aveva all’interno una nicchia rivolta verso la Mecca, come altri luoghi cristiani di culto di forma ottagonale e come pure la moschea di Omar. E la preghiera è un altro dei punti in comune tra Islam e cristianesimo, come il digiuno, che – hanno ricordato Marco Gnavi, direttore dell’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso del Vicariato di Roma, e la professoressa Laura Mulayka Enriello, cofondatrice dell’Accademia per gli studi religiosi (Isa) – i cristiani rispettano durante la Quaresima, mentre i musulmani osservano durante il Ramadan (e che si interrompe al tramonto proprio con i datteri).
La figura di Maria è dunque stata scelta come trait d’union tra le religioni, e non solo – ha affermato monsignor Luigi Bressan, già nunzio apostolico e arcivescovo di Trento –, tra Islam e cristianesimo. Grande attenzione alla madre di Gesù viene riservata anche da religioni lontane da quella cattolica, come quella indù. In Giappone c’è un centro mariano buddista, mentre si sono intensificati gli studi sulle sue origini ebraiche.
Maria – ha affermato Denis Kulandaisamy, preside della Pontificia Facoltà teologica mariana, nel corso dell’incontro moderato dal vice rettore dell’Antonianum, Agustin Hernandez –, ha una forza unificante ed è venerata come madre di Gesù e modello di fede per tutti i credenti. È un ponte di dialogo tra cristiani e musulmani e, anche se in tono minore, per coloro che non appartengono alle religioni del Libro.
La figura di Maria apre inoltre la strada al ricordo di un incontro fondamentale per le relazioni e l’amicizia tra Islam e cristianesimo, quello tra san Francesco d’Assisi e il sultano ayyubide al-Malik al-Kamil, avvenuto circa 800 anni fa. Entrambi, ha ricordato Yahyâ Sergio Yahe Pallavicini, presidente del Coreis e imam della Moschea al-Wahid di Milano, sono partiti, hanno navigato e attraversato Paesi, per realizzare la pace.
Si sono incontrati per convergere l’uno verso l’altro e verso lo stesso e unico Dio. E si sono incontrati anche per convertire, ciascuno, l’altro alla verità della conoscenza o come dice Sant’Agostino, alla vera religione. Ma san Francesco e il sultano – ha aggiunto l’imam – non hanno dovuto soltanto affrontare un viaggio pericoloso. Hanno dovuto entrambi fronteggiare e superare nemici interni: resistenze e opposizioni di coloro che non capivano il perché del loro incontro e del loro dialogo.
Un incontro reale e simbolico, il loro, tra cristiani e musulmani e tra Occidente e Oriente. Gli storici, ha sottolineato Pallavicini, ci dicono che Francesco e il sultano conversarono per giorni, colpiti reciprocamente l’uno dalla forza della fede dell’altro, che ognuno riconobbe come un credente e una creatura dello stesso Dio. “Erano – come hanno affermato papa Francesco e il grande imam della moschea Al-Azhar – già fratelli e mai nemici”.
Contemporaneo di San Francesco, ha scritto Pallavicini, fu Shaykh al-Shadhuli, maestro di un ordine contemplativo islamico, che iniziò una nuova regola di povertà spirituale. «Alcuni discepoli europei che seguono gli insegnamenti del maestro, riconoscono una provvidenziale sintonia fraterna tra la regola francescana e la scuola shadhuliyyah nella economia spirituale che i credenti virtuosi possono testimoniare per rispondere insieme, ancora oggi, alla voce del Cristo che invita a “riparare la Sua casa perché, come vedi, è tutta in rovina” e a realizzare insieme segnali importanti di questa fratellanza spirituale».