Maria di Nazareth

Una versione asciutta, e poco oleografica, del vangelo visto attraverso gli occhi della madre di Gesù. Su Raiuno.
Maria Alissa

La Rai nazionale inizia la settimana santa all’insegna della fiction religiosa, com’era prevedibile. Ha scelto un argomento assai delicato, sia per la scarsità di notizie che per la figura, sommersa nei secoli da ondate di affetto e devozione che la rendono più icona che personaggio avvicinabile.
Si tratta di Maria. Di Nazareth, come giustamente suggerisce il titolo completo della fiction in due puntate – una domenica 1 aprile e la seconda lunedì 2 aprile su Rai uno – dedicata alla Vergine.
 
Secoli di arte e decenni di cinema ne hanno trattato. Impossibile non ricordare la Maria di Pasolini – interpretata dalla madre del regista –, quella di Zeffirelli – assai teatrale –, e quella di Gibson. Recente poi la Maria raccontata nell’originale film di Guido Chiesa.
 
Giacomo Campiotti, regista di notevole talento, ora prestato alla televisione, ha certo dovuto tenere conto di questi precedenti. Ma ha dovuto anche – per fortuna nostra e sua – distaccarsene, così da proporre una versione originale e per di più adatta al pubblico televisivo “normale” e familiare.
Così, intersecando, secondo l’uso della fiction, immaginazione e realtà, ha fornito una versione asciutta e poco oleografica, del vangelo visto attraverso gli occhi di Maria.
 
Meglio, attraverso tre donne: Erodiade, che incarna il male ed il rifiuto della verità (Antonia Liskova) con qualche tinta horror; Maddalena (Paz Vega) che il regista immagina amica di Maria, prima dissoluta e poi redenta; e infine Maria stessa che ha il volto espressivo di Alissa Jung, attrice tedesca madre di due figli e perciò adatta al ruolo. Di contorno, il Pilato “innocentista” di Remo Girone, il Giuseppe, assai delicato e riservato, di Luca Marinelli, il Giovanni dallo sguardo molto puro, di Marco Rulli, l’Erode di Andrea Giordana e il Pietro di Tony Laudadio, solo per citare alcuni interpreti di un cast molto ricco.
 
La fiction presenta un andamento narrativo sobrio, una serie di scene che si susseguono, con l’uso efficace del flashback, senza eccessi plateali. Un racconto discorsivo, fatto di momenti pregnanti in cui le parole di Cristo (Andreas Pietschmann, biondo secondo l’iconografia tradizionale e vestito di rosso-blu) risaltano, anche commuovendo per la loro icasticità (scelte con notevole oculatezza).
 
Da ricordare: Cristo e la Maddalena, le scene della passione, di estrema sobrietà, i reiterati incontri fra Cristo e Maria, molto affettuosi, secondo uno spiraglio “umano” del loro rapporto che giova alla storia. E che resuscita una immagine di Maria soave e forte. Lei è la donna della parola, dell’”Eccomi”, parola con cui si apre e si chiude la fiction, con una intuizione significativa.
 
Per il resto, Campiotti deve pagare il debito con la tradizione, ma lo fa da par suo, con sintesi e discrezione. Riferimenti a molta pittura cinque e seicentesca (la scena della deposizione è la Pietà del Tintoretto a Brera tale e quale), al costume bianco blu per Maria e rosso blu per Gesù, come nella oleografia consueta, scene di massa riprese secondo la tradizione filmica storica, dialoghi rispettosi di una certa enfasi “religiosa”.
 
Un prodotto rispettabile, adatto per un pubblico vasto, tenendo conto della difficoltà di parlare di un personaggio di duemila anni orsono, riconducendolo alla sua naturalezza, senza toglierle quel qualcosa di misterioso che l’avvolge e che il regista sottolinea più volte.
 
Da guardare, comunque, liberi da qualsiasi pregiudiziale devota o filmica, per godersi la semplicità del racconto.

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