Maria Cristina Ogier

Attraverso i racconti e la vita di p. Pio Conti, incontrato in una missione dell’Amazzonia brasiliana, scopriamo l’esperienza della Serva di Dio Maria Cristina Ogier, una ragazza di 19 anni.

Il viaggio della nostra comunità formativa di Juniorato comincia lungo le sponde del Rio Solimões, nell’Amazzonia brasiliana, dove ad attenderci c’è p. Pio Conti, un cappuccino italiano che da più di quarant’anni si trova in Brasile come missionario. Ci accoglie con gioia nel suo battello fluviale, diventato ormai la sua casa, vi passa, infatti, molte ore del giorno, e spesso anche della notte. Non è un battello come gli altri, ha qualcosa di speciale, è una barca trasformata in ambulatorio, quasi un piccolo ospedale galleggiante. Vi si trova di tutto, dalle attrezzature mediche e chirurgiche per interventi di ogni tipo a lettini per adagiare gli ammalati al primo soccorso e per partorienti, bombole di ossigeno, medicinali, piccole barelle, dalle più ricercate a quelle costruite sul posto con canne di bambù. Tutto è curato con grande diligenza. A guidare il battello è una persona del posto che parla una lingua in cui si incrociano portoghese e spagnolo. P. Pio s’intende perfettamente con lui. Il missionario ci introduce nella sua imbarcazione, mettendoci subito a nostro agio con la sua ospitalità e bontà, e abbiamo la sensazione di far ingresso in una cattedrale. Ci racconta la storia della sua missione e accarezzando con sguardo orgoglioso il suo battello, “Maria Cristina”, i suoi occhi s’illuminano, la sua voce trema, ma allo stesso tempo, nella sua abituale concretezza, ci rivela il suo segreto1.
Si era verso la fine degli anni sessanta del secolo scorso, egli era allora un giovane sacerdote/ medico, coltivava nel cuore una grande sete missionaria, aveva da poco terminato la sua formazione religiosa e sacerdotale. Prima di partire per le missioni, fu mandato dai superiori a Firenze per conseguire la specializzazione in ginecologia. Durante quegli anni di Università, incontrò il Professor Enrico Ogier, docente allora di patologia ostetrica e anche primario di ostetricia dell’ospedale di Careggi, Firenze. Con lui stabilì subito un rapporto di grande stima e di amicizia sincera, non comune allora tra professori e allievi. Qualche volta il professore, per le sue lezioni o per lavori di tesi, lo invitava a casa sua. Fu lì che conobbe sua moglie Gina e sua figlia, Maria Cristina, appena adolescente, ma che nel corpo portava già i segni evidenti di una malattia devastante: un tumore all’ipotalamo, che le impediva di muoversi correttamente. I suoi genitori, avevano fatto di tutto, l’avevano portata anche a Stoccolma, da uno specialista in quell’area, ma il viaggio finì in una grande delusione2. Maria Cristina era nata a Firenze nel 1955, all’età di quattro anni all’improvviso cominciò ad avere dei fastidi ad una gamba e il papà medico capì subito la gravità del caso. Da quel momento, per i suoi genitori cominciò una corsa disperata alla ricerca della sua guarigione. Maria Cristina, invece, dimostrò subito una maturità non comune nell’affrontare la sua malattia, con accettazione cristiana e virtù eroica. Cominciò la scuola a cinque anni, amava lo studio. La sua maestra la ricorda come una bambina molto intelligente, ma anche con un grande amore per Dio e per le persone sofferenti. Viste le sue condizioni, la mamma volle prepararla in anticipo alla prima comunione e d’accordo con il parroco che si offrì di prepararla personalmente, a sei anni ricevette Gesù Eucaristia. Qualche giorno prima della comunione, Maria Cristina, vedendo la mamma indaffarata a preparare il vestito bianco per la sua festa, le disse: “Mamma, il vestito bianco lo voglio, perché diventerò la sposa di Gesù, ma quanto ai regali, dì ai parenti che mi diano solo dei soldi, perché voglio fare dei regali ai poveri”. La mamma non riuscì a distogliere la bambina dal suo proposito e così Maria Cristina, il giorno della sua prima Comunione, riuscì a fare felici molti bambini poveri3.

Un evento misterioso
Qualche tempo dopo avvenne un episodio alquanto misterioso: un giorno Maria Cristina svegliandosi al mattino presto, chiamò la mamma nella sua cameretta e le disse: “Mamma, questa notte ho sognato che il grande Crocefisso della nostra chiesa si è svegliato, mi ha parlato e mi ha detto: ‘Maria Cristina, vuoi togliermi i chiodi e la corona di spine?’. Io naturalmente ho fatto come mi ha detto, poi ho preso Gesù per mano e l’ho accompagnato a casa nostra, gli ho messo il mio pigiama, perché era nudo e l’ho fatto riposare nel mio letto. Lui allora mi ha detto che sono guarita”.
Per un anno Maria Cristina stette meglio, anzi la mamma sperava in una guarigione, anzi, in un miracolo, perché a Stoccolma le avevano detto che non c’era nessuna speranza di guarigione. Cercava di distrarla e di renderla felice con ogni mezzo: lei amava lo sport, il nuoto, e adorava il mare e la montagna, la musica, l’arte. La sua vita di studentessa era scandita anche da tante attività di solidarietà e volontariato in case per anziani, ospedali, poveri da andare a trovare e portare loro qualche aiuto economico e conforto.
Un giorno Maria Cristina chiamò nuovamente la mamma: “Ho sognato ancora Gesù”, le disse, “e cosa ti ha detto?”, rispose la mamma, ‘mi ha detto: vuoi portare la croce con me?’.“E tu cosa gli hai risposto?”. “Gli ho detto di sì, gli avresti detto di sì anche tu mamma, se avessi visto la sua faccia!”. Da quel giorno Maria Cristina cominciò a peggiorare e allo stesso tempo a vivere solo preoccupandosi di aiutare gli altri4.
Gli Ogier cominciarono parallelamente anche viaggi di speranza in un miracolo, visitando numerosi santuari e pregando. Maria Cristina, da quando aveva otto anni, cominciò ad andare a Lourdes, lì scoprì il lavoro delle dame e dei barellieri, chiese e ottenne di diventare anche lei una dama dell’UNITALSI; era la dama più giovane d’Italia. Ogni anno, si recava a Lourdes e a Loreto con i genitori; era la malata che assisteva con amore speciale gli ammalati. Non si accontentava di servire i malati durante i pellegrinaggi, andava a trovarli nei ricoveri e nelle loro case. Quando divenne un po’ più grande, andava negli ospedali per imboccarli, lavarli, comprare loro indumenti, prestare aiuto di ogni tipo, anche economico, frutto dei suoi risparmi e di collette che riusciva a fare tra amici e parenti. Quando si allontanava da Firenze per qualche viaggio, si faceva presente con cartoline, lettere, piccoli pensieri, immaginette, perché gli anziani o ammalati non si sentissero soli.
Finì brillantemente il liceo con pieni voti e in anticipo. Si iscrisse a medicina, perché voleva fare il medico come il padre.

Una vita spesa per gli altri
A diciannove anni sembrava la ragazza più felice di Firenze, era ricca, bella, aveva un sorriso e una gioia che contagiava tutti, un amore grande alla vita, eppure il suo male avanzava e lei soffriva terribilmente, ma non si lamentava più, si avvertiva che portava con sé un grande segreto, era innamorata di Gesù, era attratta da Lui e voleva seguirlo nel suo cammino di amore fino alla Croce5.
Una volta all’Università assisté a delle accese discussioni abortistiche, ne rimase sconvolta pensando ai tanti bambini che avrebbero perso la vita con l’aborto. Tornata a casa si rivolse al padre: “Senti, babbo, sei o non sei un medico cristiano? Se non te ne occupi tu di quei bambini, chi vuoi che se ne occupi?”. Il professor Ogier rimase colpito da quelle parole, ma solo più tardi, dopo la morte della figlia, avrebbe messo in pratica il suo invito, creando in Italia, quelli che poi sarebbero diventati i centri di ascolto in favore di donne in attesa e bisognose di aiuto per non abortire6.
Maria Cristina era sensibile agli anziani: ai bambini ci pensano tutti – diceva – ma gli anziani sono spesso soli e abbandonati. Aveva un sogno, aprire delle case per anziani, piccole, di dieci, dodici persone, che vivessero insieme come in famiglia e che fossero tutti chiamati per nome e accuditi e amati singolarmente. Dopo la sua morte, grazie a innumerevoli aiuti, sono nati in Italia e all’estero numerosi centri che portano il suo nome e che accolgono anziani soli e soprattutto poveri.
P. Pio, continuando la sua storia, ci racconta che, finita la sua specializzazione in ginecologia a Firenze, finalmente poté partire per l’Amazzonia. Lì trovò un’immensa missione, grande quasi quanto tutta l’Italia, lui era il primo e unico medico in tutta l’area; essendo impossibile raggiungere i villaggi attraversando la foresta, l’unica via percorribile era il Rio delle Amazzoni, in canoa, come gli indios7. Scrisse una lettera ai suoi amici Ogier, raccontando della sua missione, esprimendo il desiderio di avere un’imbarcazione attrezzata per raggiungere e curare gli ammalati più rapidamente. Era una considerazione e un’idea buttata lì. Maria Cristina accolse questo desiderio come un invito a fare qualcosa, cominciò a raccogliere fondi, mise piccoli salvadanai negli ambulatori e negli ospedali, tempestò di telefonate amici e parenti, fece volantini, campagne di promozione per le missioni, promosse concerti e lotterie di ogni tipo per raggiungere la grande somma che occorreva per comprare un’imbarcazione e attrezzarla come ambulatorio. Grazie all’aiuto di persone generose e anche facoltose che si interessarono anche di scegliere e attrezzare la barca e di imbarcarla al costo minimo di tasse, finalmente il battello “Maria Cristina” raggiunse il Rio Solimões per navigare ininterrottamente al servizio degli ammalati8.
Col progredire del male, Maria Cristina e la sua mamma, da qualche tempo, si erano trasferite a Roma in casa di parenti, per un ultimo tentativo di cure. Non riusciva più ad essere autonoma e a stare in piedi da sola, soffriva molto, ma non si lamentava. Un pomeriggio era andata a Messa con la mamma e dopo le fece una richiesta alla quale la madre inizialmente si oppose. Ma insistette: “Promettimi mamma che sarai tu ad occuparti dei miei malati, promettimelo…” e poi, gettandole le braccia al collo rimase fulminata da una paralisi bulbare9. Era l’8 gennaio 1974.
Il giorno prima della morte, Maria Cristina, con l’aiuto della portiera del palazzo, aveva spedito alcune offerte ai bisognosi, e tra questi un vaglia postale con £ 100.000 in favore della missione dell’Amazzonia, specificando di destinare quei soldi per comprare medicine per i malati e fornire di benzina il battello10.
Dopo la morte di Maria Cristina cominciarono ad arrivare offerte da ogni parte d’Italia e anche i suoi genitori, insieme a tanti giovani volontari, si sentirono chiamati a continuare il suo sogno. A un anno dalla sua morte, a Firenze, nacque il primo centro di aiuto alla vita, per sostenere ragazze madri e giovani spose in situazioni difficili, con interventi di tipo sanitario, psicologico ed economico. Oggi sono più di trecento i centri di ascolto e grazie a tutta la rete di solidarietà, si calcola che sono stati salvati dalla morte più di 130.000 bambini11.
Nel 1976, sempre a Firenze, è sorta un casa-famiglia femminile, in una villa che tanto piaceva a Maria Cristina; nel 1983 fu la volta della casa-famiglia maschile. È nata inoltre un’associazione ONLUS con un notiziario, “La scia”. Nel 1996 ha aperto a Teresina (Brasile) una casa-scuola per realizzare il sogno di Maria Cristina e dei suoi genitori di aiutare e sostenere bambini e adolescenti poveri. Nel 1999 è stata aperta una scuola in Bolivia; a Minsk (Bielorussia) è stata restaurata una struttura d’assistenza che accoglie gli orfani della periferia. Molti giovani ritrovano entusiasmo e gioia di vivere quando conoscono la vita di Cristina e l’opera nata dal suo grande cuore e dall’amore per gli ultimi12.
Tutta la vita di Maria Cristina era scandita dalla preghiera, con la Comunione quotidiana. Quando conobbe il gruppo di preghiera di padre Pio, vi aderì in maniera assidua e più volte chiese a don Setti, suo parroco, di essere ammessa all’Ordine Francescano Secolare, cosa che avvenne il 10 ottobre 197313.

Abbracciata alla croce
Quando il male riemerse con violenza, accanendosi sul suo fragile corpo, abbracciata alla croce, sopportava tutto con pazienza. Leggiamo nel suo diario: “Signore sei veramente grande, onnipotente, magnifico. Sono tua, e tua
voglio essere ora e sempre, voglio essere un tuo mezzo per operare il bene fra i fratelli lontani e vicini. Ti amo” (1 maggio 1973).
Il dolore, spesso si faceva atroce. Maria Cristina esclamava: “Ogni giorno mi fai più tua, mi chiami con insistenza e sempre; mi lasci poco tempo libero da te. Presto ti risponderò, ora posso ascoltare soltanto la tua chiamata per essere certa della tua volontà” (23 aprile 1972).
Si arrendeva: “Non posso dubitare di te, mi metti sempre a tacere” (19 marzo 1972). Non mancavano tempi di aridità spirituale, momenti in cui si sentiva abbandonata dal Signore. Nell’ora del Getsemani, dell’angoscia per il silenzio di Dio, con un ultimo atto d’amore, quasi alla fine dei suoi giorni terreni, esclamava: “Lo sento; è con me; posso di nuovo pregare…Gesù mi ascolta, mi ama. Voglio essere tua; unicamente tua”14.
Il male, la sofferenza, per Maria Cristina non erano il luogo per piangere su se stessa, ma per rispondere ad una chiamata: “Signore, ti ringrazio della fiamma che brucia in me, questo desiderio insaziabile di fare del bene, di aiutare il fratello e nello stesso tempo di aiutare te, che ci hai tanto amato. Aiutami a sopportare, a soffrire, a accettare sempre la tua volontà” (30 marzo 1972). Erano, inoltre, opportunità di ringraziare, di amare la vita e per questo di donarla con immensa gratitudine: “Grazie, Signore, per avermi mostrato la tua via e di condurmi per questa a te. Ti amo e la mia vita voglio che sia dedicata a Te e ai miei fratelli. Posso ricompensarli solo in piccola parte, non completamente” (2 marzo 1972). Il suo cuore si allargava pensando alle tante necessità dei fratelli lontani, anche per loro c’era una risposta: “Il mio amore per gli altri non deve avere confini, ma amare l’uomo di qualsiasi paese, nazione lontana e vicina. Amare nel Tuo nome. Amare per ringraziarti del Tuo grande amore verso di noi”15.
Sulla morte aveva scritto: “Caro Gesù, ho paura del futuro, della vita stessa, non della morte, che mi ricongiungerà a Te, mio tutto”. E ancora: “Ti amo, o Morte, perché tu sei il sonno benefico che mi ricongiungerà al mio Dio e mi darai la felicità eterna. Ti amo, o Morte, perché non mi fai paura e in nome del mio amore per il mio Gesù, ti affronterei anche subito, ma non come una nemica, ma come una benevola amica” (8 agosto 1972).
Maria Cristina sapeva che la morte non ha l’ultima parola, che la sua vita aveva una sola vocazione: l’amore, per questo esclamava: “Questa nostra vita è un nulla rispetto all’eternità, insegnami ad usarla secondo i tuoi insegnamenti. Sia fatta su di me la tua volontà: solo così sarò felice in eterno” (12 aprile 1972). E ancora: “Vivo, sognando il Paradiso e non vedo l’ora di giungervi per rivederti, immenso amore” (18 ottobre 1972)16.

1 Cf. Museo Missionario Indios, Frati cappuccini in Amazzonia, Cronologia.
2 Cf. Renzo Allegri, in «Agenzia Zenit», 11 Novembre 2011.
3 Cf. Ibid.
4 Cf. Giancarlo Setti, Maria Cristina Ogier, La conquista della gioia, Città Nuova, Roma 1987.
5 Cf. Renzo Allegri, in «Agenzia Zenit», 11 Novembre 2011.
6 Cf. http://www.luigiaccattoli.it/blog.
7 Museo Missionario Indios, Frati cappuccini in Amazzonia, Le opere Missionarie.
8 Stefano Liccioli, Chiesa Cattolica di Firenze, in «Toscana Oggi» 7/11/2010.
9 Id., L’eredità di Maria Cristina Ogier: frutti di carità in Italia e nel mondo, in «Toscana Oggi» 5 Dicembre, 2010.
10 Cf. Renzo allegri, in «Agenzia Zenit», 11 Novembre 2011.
11 Cf. http://www.luigiaccattoli.it/blog.
12 Religione & Religioni, Uno spazio su Web, Aprile 2011.
13 Stefano Liccioli, op. cit.
14 Maria Cristina Ogier, dalle pagine del suo Diario.
15 Ibid.
16 Samuele Duranti, Vivo sognando il Paradiso, Edizioni Porziuncola, Assisi 1987.

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