Margaret Bourke-White, fotografa, donna di primati
È negli occhi di tutti, e appartiene alla storia, l’immagine iconica del Mahatma Gandhi intento a filare all’arcolaio, in un ritratto realizzato poco prima della sua morte. E ancora, tutti, o quasi, abbiamo ammirato in qualche libro o poster o altrove, la foto di una donna sporgersi in equilibrio al sessantunesimo piano del Chrysler Building di New York sulla punta del gargoyle intenta a scattare delle foto.
A ritrarla fu l’obiettivo di Oscar Graubner nel 1935. Lei era Margaret Bourke-White. Quello non è stato il suo unico gesto intraprendente. Amante delle sfide, è stata la prima ad inerpicarsi sulle colate di ferro delle fonderie sfidando il calore intenso delle fornaci pur di ricavare fotografie industriali insolite e visionarie. Con sprezzo del pericolo ha affrontato, prima fra tutti, anche la fotografia aerea. E si potrebbe fare un lungo elenco di altri primati. La Bourke-White è stata la prima a scendere sottoterra con i minatori in Sudafrica, documentando il grande Paese africano durante l’Apartheid; a testimoniare l’India nel momento di passaggio dall’impero britannico alla libertà e alla divisione in due nazioni con il Pakistan; prima donna fotografa ad avere un visto per l’Unione Sovietica negli anni Trenta del piano quinquennale e ad ottenere una sessione di posa da Stalin, un ritratto in esclusiva per Life (per la leggendaria rivista americana realizzerà la copertina e i reportage del primo numero e tanti altri ancora lungo tutta la sua vita); la prima a riprendere l’orrore del campo di concentramento di Buchenwald nel 1945 al momento della liberazione quando, come lei stessa dichiarò, «per lavorare dovevo coprire la mia anima con un velo»; a cui fu disegnata la prima divisa militare per una donna corrispondente di guerra, negli anni in cui sarà al seguito dell’esercito Usa in Nord Africa, Italia e Germania.
A tutto questo potremmo aggiungere, soprattutto, che la Bourke-White stata la prima a non aver paura di mostrarsi malata, debole, invecchiata e impaurita con i capelli rasati a zero nell’ultimo tempo della sua vita, quando non si sottrasse alla tenerezza dello sguardo del collega Alfred Eisenstaedt diventando il soggetto di un reportage che documentò la sua lotta contro il Parkinson che la immobilizzerà e la porterà alla fine.
Questa testimonianza è l’ultimo percorso degli 11 gruppi tematici che costituiscono la mostra a lei dedicata attraverso 100 immagini provenienti dall’archivio Life di New York che, in una visione cronologica, tracciano un intenso percorso esistenziale. Il suo è stato lo sguardo di una pioniera del linguaggio fotogiornalistico, una donna capace di catturare la storia in immagini ripercorrendo eventi che hanno segnato il secolo scorso, collaborando così al nascere di un nuovo tipo di rivista illustrata, dove le fotografie avranno molto spazio per poter evocare i grandi avvenimenti e le grandi imprese. Fondamentale il suo contributo in un’epoca dove la professionalità femminile era penalizzata, facendosi interprete, con coraggio e determinazione, nella prima metà del ‘900, del ruolo che le donne devono avere, protagoniste del cambiamento con ruoli chiave nelle istituzioni, nell’economia e nella società.
Famosa per la sua eleganza e il gusto innato per i vestiti, la sua professione ebbe inizio nell’America degli Anni Ruggenti, dei grandi progressi nel campo della tecnologia, dei trasporti e delle comunicazioni, del benessere e della prosperità. Si dedicò alla fotografia industriale, ammaliata dall’incanto delle acciaierie e dalla “bellezza”, intesa in senso futurista, delle grandi industrie dove si lavorava per il progresso. Poi scoprì il lavoratore, l’operaio, il minatore, il contadino, l’uomo in carne e ossa che non aveva ancora conosciuto. Capì che «le persone sono molto di più che figure sullo sfondo di una fotografia».
Dedicandosi alle zone depresse della Georgia e dell’Arkansas rafforzò quella vocazione alla fotografia di documentazione sociale iniziata qualche anno prima e che la caratterizzerà coi suoi racconti editoriali. Viaggiò molto, infatti, andando dove si faceva la Storia, spinta dal desiderio quasi indifferibile di essere testimone oculare privilegiato degli avvenimenti. Come lei stessa scrive ripensando ai primi tempi di Life: «Il mondo era pieno di eventi che aspettavano solo di venir scoperti ed io avevo la fortuna di poter condividere con i lettori le cose che vedevo e imparavo. Trovare qualcosa di nuovo, qualcosa che nessuno avrebbe potuto immaginare prima, qualcosa che solo tu puoi trovare perché oltre a essere un fotografo sei un essere umano un po’ speciale, capace di guardare in profondità dove altri tirerebbero dritto: questo era il nostro modo di lavorare».
“Prima, donna. Margaret Bourke-White”, a cura di Alessandra Mauro, nell’ambito del palinsesto promosso dall’Assessorato alla Cultura “I talenti delle donne”. Milano, Palazzo Reale, fino al 2 giugno 2021 (Catalogo Contrasto). L’accesso alla mostra è contingentato, con le disposizioni volte a tutelare la sicurezza e la salute dei visitatori. La prenotazione, non obbligatoria, è fortemente consigliata.