Mare fuori, una luce dal buio del carcere
Viene tanto in mente Gomorra, durante gli episodi, finora otto (saranno dodici in totale, raggruppati in sei serate), di Mare fuori, la fiction di Rai2 in onda dal 23 settembre scorso con Carolina Crescentini, Carmine Recano e soprattutto con un gruppo folto di ragazzi e di ragazze, alcuni molto bravi, altri meno. E con un luogo che è protagonista almeno quanto loro, ed è un carcere minorile di Napoli con la città difficile alle spalle e il mare davanti, vicino e sfuggente, irraggiungibile, inteso come bellezza e libertà. Fuori, appunto, dalla loro portata. Momentaneamente o per sempre. Viene in mente Gomorra, e anche un po’ La paranza dei bambini (sempre di Saviano il libro di partenza) per il napoletano radicale usato, per la relazione tra giovani vite e criminalità, per sbando, disordine profondo, per la violenza contenuta, e se vuoi anche per una certa spettacolarizzazione di questa piaga certamente e giustamente denunciata, inizialmente, raccontata per combatterla, ma alla distanza divenuta anche merce – per il successo enorme della serie – con personaggi e situazioni rappresentativi prevalentemente di se stessi/e.
C’è però una luce, in Mare fuori, che attraversa il buio e che in Gomorra non veniva concepita. Sono raggi emanati da alcuni personaggi: Paola, la direttrice del carcere (Carolina Crescentini), Massimo, il comandante delle guardie (Carmine Recano), ma anche alcuni dei ragazzi stessi, lontani per indole e desideri, da una vera vita criminale. Vale per Filippo (Nicolas Maupas), un musicista di Milano finito in carcere per una bravata tra amici trasformatasi in tragedia; vale per Naditza (Valentina Romani), una zingara che preferisce il carcere alle regole arcaiche e inaccettabili della sua famiglia, e vale per Carmine, appartenente a un clan camorristico ma col dono di un cuore puro e di intelligenza, desideroso solo di amare la ragazza da cui aspetta un figlio.
Null’altro che questo: sentimenti, belli, come quelli che Naditza inizia a provare per Filippo, ricambiata, e che si infilano nel grande tunnel di questo spazio che è una bolla amara contenente un numero assai abbondante di storie difficili, estreme, non tutte provenienti da Napoli. Sono sfiorate, accarezzate, scaldate, da questi raggi fatti a loro volta di sofferenza, di errori fatali, di ferite profonde, di gravi incidenti, ma che parlano di riscatto, di rivalsa, di desiderio di nuotare in quel mare davanti, e si mettono lì, a dire la loro, con tenacia (i grandi) e speranzosa spontaneità (i giovani) a credere in una corrente diversa da quella che tira forte dentro il penitenziario, che poi a ben guardare proviene da fuori, e certamente non è ostacolata dalle famiglie, qui tutte incapaci di offrire vero sostegno, e in alcuni casi prima causa della condizione di questi poveri figli.
Si procede lentamente in questo viaggio duro, a volte molto, su questa nave che è il penitenziario, e si sta a contatto con il degrado e con il dolore, con il conflitto di ogni personaggio, aspettando di vedere chi ce la farà e chi no. Si può riassumere così questa serie di giovani e tanto per i giovani, con una colonna sonora aderente ai loro gusti e qualche frase interessante in convivenza con un po’ di stereotipi. Però le emozioni ci sono, il meccanismo del flashback che ce li racconta prima del carcere funziona, come la regia dinamica di Carmine Elia. La voglia di vedere come andrà a finire, se il bene ce la farà a sopravvivere e vincere la battaglia, è consistente, robusta. Mancano quattro episodi, ancora un paio di mercoledì e sarebbe bello se si riempissero di una positività che manca facilmente nelle serie dedicate agli adolescenti, non sarebbe male se questi raggi riuscissero a splendere sempre più forti e se dentro l’intrattenimento che adopera il racconto del male, fiorisse netto, dominante, il racconto del bene. Prezioso, utilissimo, perché i giovani ne sono affamati e ne sanno cogliere il frutto. Vedremo.