MarcoSpotti: il piacere del rischio
Ascoltarne la calda voce di basso nobile nel Don Carlo o nel Flauto è una gioia. Marco infatti ce la trasmette perché il canto – dice – mi dà una sensazione di libertà, di esprimere qualcosa che si ha dentro e può emozionare chi ascolta. Ha 39 anni, ma l’aspetto è molto più giovanile, come lo è la voglia di mettersi in gioco. Lo ha fatto a 24 anni, lasciando il lavoro di geometra, per studiare canto: una passione di sempre, però, non nata in casa: forse da bambino, dai nonni a Bologna, ascoltando i dischi con le opere di Verdi e la voce della Callas . Studia al Conservatorio, poi con altri maestri, è in carriera solo da pochi anni: Una fortuna, perché ora la mia voce sta maturando, diventa più morbida . Marco, che ha cantato con il coro a Verona e a Montecarlo, dopo un’audizione dal tenore Carlo Bergonzi, si sente sicuro e debutta nella sua città, Parma, come Samuel nel Ballo verdiano. Scelto da direttori come Muti, Oren, Gatti per I masnadieri (un grande successo personale) a Bologna lo scorso novembre, farà il Tancredi rossiniano a Pesaro (e poi a Roma), Don Giovanni a Firenze, Monteverdi a Cremona (una sfida che accetto, non ho mai cantato musica barocca )… Ma oggi ha ancora un senso che un giovane si dedichi alla lirica? A volte penso – risponde, serio – che noi cantiamo cose scritte cent’anni fa: ma rimangono moderne perché toccano temi, sentimenti che non hanno una connotazione storica. E oggi c’è ancora qualcosa da scoprire, non stravolgendo il testo, ma offrendo nuove proposte. Ricordo l’esperienza entusiasmante fatta nel 2001 a San Francisco, dov’ero per Boccanegra, Aida, Traviata con il pubblico a teatro per rilassarsi e l’opera che gliene offriva un’occasione. Da noi invece si va per giudicare o in ossequio a una tradizione, mentre dovremmo puntare ai giovani, magari abbassando i prezzi… Io, comunque, pur ascoltando i grandi del passato, cerco di essere me stesso, perché ognuno deve cantare con la propria voce: per questo nella lirica non si smette mai di studiare. Certo, la vita di un cantante comporta anche sacrifici. È vero, ti porta lontano da casa, dagli affetti, spesso solo. È un continuo stare davanti a dei giudici, il che è stimolante – ma alla lunga stanca. Però trovarmi con il pubblico è la cosa più bella, sei galvanizzato dall’energia che ti danno il suo silenzio o il suo applauso: questo ti fa desiderare di far meglio l’indomani di quanto hai espresso quella sera. Perché quando canto, non penso alle difficoltà tecniche, ma alla psicologia del personaggio, e a essere felice che le mie emozioni vengano percepite da qualcuno. Nel passato, invece, ero perfezionista: mi logoravo ripensando ad un piccolo errore. Oggi sono più tranquillo, accetto il limite umano. Sono alla ricerca della serenità, sto facendo un percorso di conoscenza di me stesso, in modo che crescita umana e vocale vadano in armonia. Marco perciò sa staccare con l’ambiente, seleziona le amicizie, si rifugia spesso nella sua casa sulle colline parmensi, segue la musica leggera e l’arte figurativa; è legato ai genitori che lo hanno cresciuto in un ambiente caldo e accogliente. Carattere riflessivo (forse troppo, dice), il Nostro è attento al mondo d’oggi. Vedo – commenta – la mancanza di valori veri, non li si trasmette più in famiglia o a scuola, i modelli proposti sono superficiali – i nuovi divi, i calciatori, le veline – come superficiale è la visione di ciò che succede intorno. Io ho sempre cercato invece un senso nella vita, mi pongo delle domande. Ho una mia religiosità, una mia fede. Penso ad esempio che sia impossibile che la vita duri 70-90 anni e poi tutto finisca, perché ho come una grande sete di infinito: potrei dirmi uno innamorato di infinito. Bel carattere, ho sempre stima dei colleghi – dice -, soprattutto se si realizzano con mezzi onesti, anche perché io non sono capace di arrivare a certi compromessi. Avrò poi anch’io il momento fortunato – la fortuna conta nel nostro lavoro -, l’importante è che ognuno faccia la sua strada e si fortifichi dentro. Cerco di non maltrattare la mia voce – conclude – scegliendo bene il repertorio, stando attento alla carriera, anche se so che finirà. Perciò, punto a saper affrontare con serenità la vita di tutti i giorni, che non è quella del teatro. Nel mondo frenetico di oggi, io vorrei dare gioia. La mia soddisfazione è quando mi dicono: sai, mi sono emozionato, sentendoti. Sono i momenti più belli.