Marco Paolini e La7
Per puntare al peggio ci vuol poco. Basta parlare alla pancia del telespettatore, stuzzicare i suoi bassi istinti e pepargli ogni singola portata. Per puntare al meglio ci vuol molto di più. Servono coraggio, voglia di rischiare, forza di sfidare i numeri dell’audience, un briciolo di follia per andare contromano, infischiandosene di quel che fanno gli altri. Raiuno lo ha fatto affidando a Roberto Benigni una impresa all’apparenza impossibile: far riscoprire al pubblico anestetizzato da anni di reality show l’elegante armonia della poesia del Trecento, l’immortale fascino della Divina Commedia di Dante. La7, perseguendo con ostinazione un progetto altrettanto coraggioso, si è messa a ruota, dando a Marco Paolini la stessa possibilità offerta al comico toscano: quella di portare la forza della parola, la magia del teatro, in prima serata, senza interruzioni pubblicitarie. E Paolini, così come già Benigni, ha fatto ancora una volta il miracolo: Album d’aprile ha sfiorato il 5 per cento di share, tenendo incollati al video quasi un milione di spettatori, conquistati dalle storie di provincia e di rugby narrate dall’autore-attore bellunese, promotore di un teatro civile, cantore di un’Italia solo all’apparenza minore, in cui tutti, per due ore, hanno potuto specchiarsi, riflettere, guardarsi dentro, interrogarsi, ridere, pensare. Va detto che Paolini non è nuovo a simili exploit. Senza andare indietro fino ai tempi di Vajont, gli era già accaduto di stregare la platea televisiva de La7 con un’altra opera teatrale adattata (magistralmente) alle esigenze del piccolo schermo e vista da quasi un milione e duecentomila spettatori, la trasmissione più seguita della storia della rete. Si trattava dell’atto unico Il sergente, ispirato da Mario Rigoni Stern, l’epopea di un Paese in ritirata, stremato dalla Prima guerra mondiale, che nel freddo di una trincea, in una steppa russa che ti gela l’anima, ritrovava il calore dell’umana solidarietà, il senso di un’appartenenza, l’orizzonte di un comune destino. Anche in quell’occasione, attraverso il monologo di oltre due ore, asciutto, diretto, incisivo di Paolini, emerge- va lo spirito di una Nazione dove hanno ancora diritto di cittadinanza parole come dignità, orgoglio, senso di comunità, altruismo. Le stesse che arrivavano nelle case degli italiani attraverso la funambolica recitazione di Benigni, ore e ore di tivù più efficaci di un anno di educazione civica. Per certi miracoli, è vero, vanno sempre scomodati i pezzi da novanta (quali Benigni e Paolini sono). Ma dopo queste performance forse altri tenteranno di coniugare qualità con grandi ascolti. Puntare al meglio potrebbe diventare di moda, e chi apprezza Paolini e Benigni adesso lo spera. Demo, l’acchiappatalenti Demo è l’unico programma nazionale dedicato agli emergenti talenti musicali. Giunto alla settima edizione, va in onda tutti i giorni su Radio1 dal lunedì al venerdì alle ore 23.27 e il sabato alle 23.33. Il meccanismo è molto semplice. Chiunque si sia autoprodotto un cd, contenente non più di tre brani con musiche e testi originali, lo invia alla redazione del programma. Un gruppo di esperti li ascolta e li viviseziona, scegliendo i brani migliori che saranno trasmessi in radio, immessi nel sito web, ascoltabili e votabili dai radioascoltatori. In sette anni sono stati esaminati più di 15 mila cd e sono state reputate valide e mandate in onda 1500 canzoni dei musicisti più diversi per stile e tendenze melodiche. Nato da un’idea di Michel Pergolati e Renato Marengo, il programma ha come obiettivo acchiappare talenti che difficilmente potrebbero essere notati dal pubblico italiano. Il programma è scherzosamente posto sotto l’alto patronato di san Michele Cyberangelo, perché rappresenta la forza del bene e della giustizia che combatte il male. Grazie a Demo, 40 artisti hanno potuto realizzare il loro primo cd e lo stesso programma ha prodotto quattro compilation con il meglio dei brani ricevuti. Scusate, ma non è poco!