Maratona di ballo, specchio dell’esistere
Appena qualche anno fa il coreografo Fabrizio Monteverde aveva creato per il Balletto di Roma una sua originale versione del romanzo di Horace McCoy, Non si uccidono così anche i cavalli?, rifacendosi all’omonimo film di Sidney Pollack del 1969. Ambientato negli anni della Grande depressione americana, rappresentava le crudeli maratone di ballo a cui si sottoponevano per giorni e giorni una moltitudine di disperati per contendersi, in una massacrante gara di resistenza, un migliaio di dollari.
Sulla musica del Bolero di Ravel, Monteverde imbastiva un elegante e sensuale gioco al massacro fra coppie che si sfidavano nell’estenuante gara, fino al loro soccombere per graduale eliminazione. Come pupazzi che si rompevano nel gioco violento dell’uso, le coppie si sopprimevano fisicamente e psicologicamente strappandosi via via gli abiti. E il crescendo della musica coincideva con la solitaria, inutile vittoria di una donna (che nell’originale invece muore), e la sconfitta delle relazioni umane.
Ecco ora un’altra versione del crudele show, ma in una messinscena decisamente più teatrale dove l’allusione è ai tanti odierni reality e talent show televisivi e a quel “sogno di farcela” a tutti i costi, arrivando a rinnegare persino la propria dignità e intimità. A firmare la messinscena – che dispone gli spettatori su tre gradinate che circondano la pista-balera con tanto di piccola orchestra e cantante –, è il regista Gigi dall’Aglio, insieme alla determinante scrittura fisica di Michela Lucenti.
Accolti dal presentatore, Alessandro Averone, le coppie arrivano mescolandosi tra il pubblico. La pista è delimitata da tanti letti dove, nei brevi intervalli tra un ballo e l’altr,o e pasti veloci consumati in pista, sostano i partecipanti. Inizialmente vengono pesati e selezionati, e contrassegnati ciascuno da un numero. Da lì a poco avrà inizio il grande ballo – tenuto a bada da due severi guardiani – che metterà alla prova la resistenza fisica e psicologica delle varie coppie. Tra un ballo e l’altro scopriremo le loro storie personali, suscitate da bisogni, rabbie, debolezze, litigi, sogni, tradimenti.
Nella galleria umana ci sono, tra gli altri, due emigrati russi, un bandito evaso, un vecchio marinaio ancora vivace, due mormoni, una donna incinta. E una bionda in cerca di fama, cinica e amareggiata dalla vita, che si inimicherà tutti, per chiudere la perversa kermesse, rivelatasi una truffa, con un colpo di pistola. Lo spettacolo mette insieme, ben amalgamati ma con alcune presenze deboli, diversi componenti della storica compagnia del Collettivo Teatro Due e gli attori-danzatori di Balletto Civile in residenza presso lo Stabile di Parma.
Lucenti reinventa i vari generi di balli – fox trot e tango, shimmy e valzer – con cambi di ritmo e di danze, corse a perdifiato, e conferendo allo spettacolo una non facile dinamica drammaturgica tra canzoni, dialoghi e azioni coreografiche. Ma non risulta sufficientemente efficace per rendere quel crescendo di fatica ed esasperazione, tale da doverci trasmetterci l’annientamento umano delle singole personalità, che risulta invece solamente fisico e non sufficientemente psicologico da segnare con forza il dramma finale di quelle misere esistenze. Forse avrebbe giovato trasporre la vicenda in un tempo e in un contesto a noi più vicino. Anche nel linguaggio.
Non si uccidono così anche i cavalli? Al Teatro Due di Parma.