Mar Mousa – Pasqua di Risurrezione

Nel deserto, nella montagna, nel silenzio, nella luce dell'alba. “Kristos anesti”.
Mar Mousa

Ritorno verso Damasco. Ecco il deserto, insospettabile moltiplicatore di tempo e distanze. A Mar Mousa è di pietra e di roccia, duro ma in certo qual modo anche gentile, come la gente di queste contrade. Non è di sabbia, non si vedono le dune leggere e quasi soffici di certi paesaggi sahariani, ma quelle spietate della pietra rossastra e informe di lande sfidate solo da qualche beduino.

 

Mi imbatto in un caravanserraglio ancora in costruzione: le auto non avanzano più, la montagna si fa impervia. Alzo lo sguardo: al termine di una lunga scalinata, quasi un serpente di pietra mummificato, un’escrescenza rocciosa pare voler completare l’opera della creazione con una corona polita di pietra. La fortezza, che so essere un monastero, la mèta del mio viaggio, si erge come chimera. Finché, al termine della lunga salita, arriva l’ora di toccarne la prima pietra, pietra angolare, lisa dal palmo delle mani di pellegrini dal sesto secolo in qua e forse ancor prima, che si sono posate a loro volta sulle tracce lasciate da soldati romani e greci e persiani.

 

Il monastero fu fondato da un reale etiopico, che preferì il romitorio al trono; popolato ininterrottamente fino al 1830, fu solo allora abbandonato per mancanza di vocazioni. Paolo Dall’Oglio, gesuita romano, l’ha riaperto nel 1980, riportandolo agli antichi splendori. Ora è un centro di incontro islamo-cristiano.

La porta stretta evangelica qui è una realtà: un metro e venti di altezza per uno di larghezza. Varcatala, un altro mondo appare nella fioca luce della sera. Un mondo di pietra modellata per portare lo spirito umano attraverso l’ascesi alla contemplazione. Ma una porta altrettanto angusta apre a un ulteriore mondo, quello dello spirito: la cappella – che pare nella sua semplice magnificenza una basilica – mostra al pellegrino la fantasmagoria del Cielo e del cielo nell’anima, in una totalità affrescata che, rinchiusa nello scrigno di pietra, pare un microcosmo in cui ammirare il macrocosmo e il paradiso e l’inferno. Giovani pregano, meditano, contemplano, dubitano forse, s’attardano alla ricerca di sé stessi e di Dio nel proprio intimo, come tanti piccoli Agostino.

 

Padre Dall’Oglio, perché Mar Mousa? «L’inculturazione è incontro. In terra islamica avviene tra cristiani, qui nella forma monastica, e musulmani. Con una motivazione tutta evangelica. L’incontro inevitabile con l’Islam ci obbliga a mettere in moto la carità, l’amicizia, il buon vicinato e ci porta a capire quanto debba essere radicata in Cristo la nostra fede cristiana». È un fiume in piena, padre Paolo, un focoso testimone del Cristo: «Il Vaticano II ha aperto la via del dialogo, ha messo dei “paletti” al di là dei quali non si può più tornare indietro. La cristianità oggi spesso ha paura dell’altro chiamato Islam. Credo che la nostra presenza tra i musulmani e nel deserto possa far riflettere sulla necessità di un incontro ineluttabile. E ricco, ricchissimo». Curiosità di vedere come andrà a finire: «La nostra comunità monastica non ha vita facile. Ma in questi anni abbiamo “assimilato” l’Islam, l’abbiamo scoperto e apprezzato, pur restando totalmente cristiani. Perciò vorrei che sulla mia tomba fosse inciso il mio nome in arabo, Boulos, l’apostolo del confronto col diverso da sé».

 

Paolo Dall’Oglio viene da una famiglia della borghesia romana, approdato dai gesuiti dopo una lunga ricerca al limite della contestazione politica e di quella sociale. La sua scelta non poteva che essere radicale: «L’inculturazione è incontro culturale. Perché avere paura? Sono innamorato della missione che ho scoperto Dio voleva per me, una evangelizzazione ai limiti estremi del cristianesimo. Ormai vedo più chiaramente l’Islam in prospettiva escatologica, grazie ai “motori” della carità che siamo riusciti ad attivare qui a Mar Mousa. E non c’è più paura. Perché tanti giovani europei hanno l’incubo dell’Islam, e non solo gli anziani e non solo gli adulti? L’Islam ha una sua provvidenzialità per i cristiani, certamente. È l’Islam che ad esempio ci spinge a cercare l’unità tra i cristiani, perché la nostra testimonianza sia finalmente credibile.

 

Nell’Islam il cristianesimo potrebbe trovare vastissimi campi di evangelizzazione, ma senza il morbo della conquista, del potere. Un’evangelizzazione che passa tutta – e ripetto tutta – attraverso la carità. Ciò che è del mondo, dal Vaticano II in poi interessa anche i cattolici, la cristianità. Tutte le realtà umane debbono interessare il cristiano, che deve e vuole andare incontro a esse senza paura, nella dinamicità della vita cristiana, trinitaria e cristocentrica, trinitaria e cristocentrica. Lumen gentium deve continuare a illuminarci». Paolo Dall’Oglio lo ammette: «Non sono più quello di prima. Questa vita mi ha portato a cambiare: se prima l’Islam era esterno alla mia persona, ora i destini della gente musulmana e il futuro di questa reatà in qualche modo mi riguardano, dal di dentro. Questo è il miracolo della vita che si ripete giorno dopo giorno». Grandi visioni in una vita monastica ridotta a poco… «La vita consacrata – conclude il gesuita romano – ha sempre avuto scopi precisi, e quindi noi questo scopo l’abbiamo trovato nei musulmani. Tra l’altro, la forma religiosa monastica cristiana è la prima che i musulmani hanno conosciuto, ed è una vita che fa parte del loro stesso mondo simbolico. Per i musulmani, i buoni cristiani sono innanzitutto i monaci».

 

Alle quattro di mattina, dopo una notte nel silenzio che urla, la messa dell’alba di Pasqua è un’esperienza di nascita e rinascita, di resurrezione appunto. Separati dal mondo, costretti nei pochi metri quadri della cappella, illuminati da una candela solitaria sistemata in mezzo ai presenti, assisto al passaggio lento ma inesorabile dalle tenebre alla luce: la candela lascia lo spazio a un candelabro, poi ai lumi dei lettori delle Scritture cristiane, mentre poco alla volta dalle anguste finestre della cappella filtra una luce sempre più luminosa, fino all’esplosione di un raggio di sole che sfonda gli affreschi, rivelando aperture mai neppure immaginate.

La tenebra si colora dell’amore della luce, rivelando che la verità è amore, che l’amore rivela la verità che è essa stessa amore. Ed è allora la festa dello spirito e del corpo, della parola e della musica, in una crescente esplosione di festa e regalità. È Pasqua, siamo risuscitati ancora una volta. Nell’uditorio s’è intrufolata una dozzina di musulmani. Anche loro risuscitati dalla luce.

 

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