Mantova,isola felice

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Sono tre i laghi che la circondano in un abbraccio. O, se si vuole, come una difesa naturale, dandole un aspetto acquatico, tuttora resistente. Città isolana,Mantova, tra le nebbie invernali e i calori padani: con 48 mila abitanti appare spaziosa, vivibile. Dai portici alle piazze, dai castelli alle torri, dai palazzi alle chiese si respira in termini di libertà, di ampiezza, di colore. Quello del cotto che, mancando il marmo di cui abbonda invece la vicina- rivale Verona, cambia tono a seconda dei raggi del sole e conferisce all’abitato quell’aria accogliente, saporosa, com’è il carattere dei mantovani. Essi amano incontrarsi in una città ancora ben fondata sulle tracce romane del cardus e del decumanus, secondo uno spirito associazionistico antico – qui sono nate a fine Ottocento cooperative bianche e rosse – favorito dall’ambiente agricolo e preindustriale ma forse anche dall’essersi raccolti intorno alla reggia gonzaghesca, simbolo autentico della vita e della cultura cittadina. Per quattro secoli infatti, dal Trecento al Settecento, i Gonzaga l’hanno dominata, imprimendole un sigillo inconfondibile. È il gonzaghismo – sostiene Giuseppina Pastore, responsabile della sezione locale di Italia Nostra e valorosa studiosa d’arte -, vale a dire la storia di questa dinastia cui restiamo legati. Per alcuni un fenomeno poco positivo, perché la cultura deve guardare in avanti; ma imprescindibile. I Gonzaga non sono stati solo dei dominatori, ma hanno portato il loro piccolo ducato nei rapporti internazionali d’arte e di cultura, che hanno reso la città un’isola felice anche sotto questo aspetto. Perciò, ancor oggi essere mantovani significa aver assimilato un po’ di Emilia, Veneto, Lombardia, ma rimanendo noi stessi. Internazionali, mitteleuropei. Tutto ciò ci deriva dai Gonzaga. È vero. Le loro tracce si colgono dovunque. In Piazza Sordello si eleva il Palazzo Ducale, da maniero del secolo XII diventato una reggia, la cui estensione è seconda solo ai Musei vaticani. Entrando per rampe, sale, appartamenti, scoprendone con dolore le gallerie prive della favolosa collezione di dipinti dei Duchi – che li cominciarono a vendere a partire dal Seicento formando la gioia del Louvre e di infinite collezioni – si respira la suggestione di una corte che ha visto passare la storia: papi come Martino V Colonna e Pio Il Piccolomini, re e imperatori, artisti e letterati. I dipinti da poco ri-trovati di un Pisanello che racconta le storie di Lancillotto di pretto stampo goticheggiante, lo studiolo d’Isabella d’Este la marchesana primadonna europea del Rinascimento cui Leonardo ha dedicato uno stupendo ritratto; e poi la Camera degli Sposi con gli affreschi del massimo pittore mantovano (per adozione) Andrea Mantegna, modello per una pittura secolare, dicono una stagione artistica dal valore straordinario. Che poi si estende nel suburbano Palazzo Te con le decorazioni mitologiche di Giulio Romano, fino all’arte gioiosa di un Rubens. E se si pensa che in questo Castello ducale Claudio Monteverdi nel 1607 diede inizio con il suo Orfeo al melodramma, si ha la sensazione precisa di trovarsi di fronte ad una civiltà di livello altissimo. Non per nulla un personaggio come Baldassar Castiglione, autore di quel Cortegiano in cui l’Italia (allora) insegnava l’arte del ben vivere è sepolto qui a Mantova nel santuario delle Grazie o qui vi è giunto un educatore d’eccezione come Vittorino da Feltre che nel Quattrocento fondava un tipo di scuola detta non a caso zoiosa… La storia dunque è passata di qui. E vi è rimasta, se entrando ad esempio in una chiesa come Sant’Andrea si avverte ancora il respiro monumentale, classicamente ordinato di Leon Battista Alberti, insieme al raccoglimento che ispira la piccola cappella funeraria del Mantegna. Mantova infatti vive di memoria, non di ricordi, che passano!, come avverte Giuseppina Pastore. Perciò, poeti come Virgilio o Sordello sono ricordati dalla gente come figure lontane, mentre l’eredità culturale gonzaghesca rimane. An- che dopo le trasformazioni austriache di Mantova in città-del-quadrilatero militare, la laicizzazione di chiese e conventi e il livellamento delle mura gonzaghesche dopo il 1866 a favorire le nuove esigenze della vita cittadina. In questa isola dalla precisa identità, non confondibile con altre del Belpaese, come continua a vivere la memoria? Se i Gonzaga restano al centro di un turismo la cui ondata è soprattutto fine -settimanale – le strutture per un’accoglienza più lunga non sono del tutto attrezzate, lamenta la professoressa Pastore -, pure l’anno mantegnesco (vedi box) che si sta aprendo rappresenta uno di quegli eventi che danno un’impennata alla vita cittadina. Perché a Mantova queste grosse manifestazioni, per quanto mancanti di quella continuità che favorirebbe ancor più il livello culturale della città, si susseguono periodicamente e, insieme ad un rifiorire della vita musicale (i cori, l’Orchestra da Camera mantovana) e teatrale, in particolare in provincia, rappresentano una passione mai spenta per tutto ciò che è cultura e bellezza: basti pensare al Premio Suzzara che dal 1948 documenta il progresso degli artisti italiani, da Morandi a Ligabue. Fattori imprescindibili in una città che possiede, anche topograficamente, un respiro vasto. Ne è un esempio il Festivaletteratura che per cinque giorni, dal 6 al 10 settembre, da dieci anni attira ormai migliaia di visitatori non più solo dalla città ma da tutt’Italia. L’anno scorso ne sono passati almeno 50 mila. Si tratta di persone che pagano un biglietto d’entrata per ascoltare gli autori per delle ore – commenta Luca Nicolini, uno degli otto fondatori del Festival e direttore della libreria Nautilus. Un unicum in Italia. La nostra è infatti una manifestazione non commerciale, ma di promozione della lettura attraverso l’incontro autori-lettori, che è il cuore del Festival. Attorno al quale ruotano circa 200 eventi in contemporanea, di musica cinema e teatro: senza un tema preciso, perché noi amiamo offrire uno sguardo sulla letteratura a 360 gradi con dei fili invisibili che poi le persone possono individuare e scegliere come loro percorso . Un Festival che indubbiamente si riallaccia alla tradizione culturale gonzaghesca e che quindi sta facendo scuola nel Belpaese se altri centri lo stanno imitando. Con una novità: per festeggiare il decennale del Festival, si sono date migliaia di copie alla cittadinanza di Jolanda, la figlia del Corsaro Nero di Salgari, da leggere per due mesi sino a fine marzo. Riscontri? C’è chi si legge il libro a casa, chi forma gruppi di lettura in biblioteca. Hanno inventato pure il caffè Jolanda (tanto per non smentire la cultura gastronomica mantovana)… Un qualcosa di libero e leggero – commenta Nicolini – che ci auguriamo venga imitato anche dalle altre città. L’isola felice continua dunque a fare scuola… L’ANNO MANTEGNESCO Nel 1506 il padovano Andrea Mantegna moriva a Mantova, lasciandovi casa e capolavori. Si prevedono almeno due grandi manifestazioni. Nella Casa del Mantegna, fino al 4/6, si tiene la rassegna dedicata alla Cultura artistica mantovana nel Quattrocento con documenti autografi, libri, sculture e dipinti dell’epoca. (catalogo Silvana Editoriale). A Palazzo Te dal 13/9 la mostra sul Mantegna, la prima dopo quella storica del 1961 con decine di opere del pittore giunte da collezioni private e musei internazionali.

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