Mansuetudine
Dopo aver visto il posto che è dato all’umiltà nel pensiero di questi tre grandi santi, è opportuno approfondire il significato teologico dell’umiltà. San Tommaso ne tratta nella Questione 161 della II-IIae della Summa Theologica. Egli divide l’argomento in sei articoli cosi intitolati: Se l’umiltà sia una virtù; Se l’umiltà riguardi la sfera dei desideri; Se l’uomo per umiltà debba mettersi al disotto di tutti; Se l’umiltà sia tra le parti della modestia e quindi della temperanza; Se l’umiltà sia la più grande di tutte le virtù; Se i dodici gradi dell’umiltà posti nella Regola di san Benedetto siano giustificati. Vediamo che cosa dice san Tommaso nel primo articolo, Se l’umiltà sia una virtù. Il santo espone il suo pensiero affermando che l’umiltà è una virtù, rifacendosi sia alle parole della Vergine Maria: Ha guardato l’umiltà della sua serva, sia soprattutto alle parole del Salvatore: Imparate da me, che sono mansueto ed umile di cuore. Per sostenere la tesi che l’umiltà è una virtù, san Tommaso ricorda che il bene arduo ha un aspetto per il quale attrae e un aspetto per il quale respinge. Ora, per i moti affettivi di attrazione occorre una virtù morale che li moderi e li freni, e per quelli di ripulsa una virtù morale che li fortifichi e li stimoli. Per il bene arduo si richiedono, quindi, due virtù: una per moderare e frenare l’animo perché non esageri nel tendere verso le cose alte, e questo appartiene alla virtù dell’umiltà; l’altra per fortificare l’animo contro la disperazione e spingerlo, seguendo la retta ragione, alla conquista di cose grandi, e questo è proprio della magnanimità. Perciò è evidente – egli conclude – che l’umiltà è una virtù. Nel terzo articolo, cioè Se l’uomo per umiltà debba mettersi al disotto di tutti, san Tommaso considera due aspetti: ciò che appartiene a Dio e ciò che appartiene all’uomo. Ora, ciascun uomo deve mettersi al disotto di qualsiasi altra persona rispetto ai doni di Dio che sono in lei. Ma, senza pregiudizio per l’umiltà, si possono preferire i doni ricevuti da noi da parte di Dio a quelli che ci risultano conferiti ad altri. Nello stesso modo, l’umiltà non esige che uno ponga sé stesso, per le sue proprie miserie, al disotto del prossimo riguardo alle miserie di lui, per il fatto che ognuno debba considerarsi più peccatore di tutti gli altri. Tuttavia, uno può pensare che nel prossimo c’è del bene che egli non ha, oppure che in sé stesso c’è del male che non si trova negli altri: e cosi può sempre mettersi al disotto del prossimo. Questa indagine sull’umiltà, più speculativa che affettiva, può sembrare che non coincida completamente con l’esperienza vissuta ed espressa dai santi, molti dei quali dichiarano di essere gli uomini peggiori del mondo; essa ha però un grande valore speculativo, perché pone chiaramente in termini filosofici e teologici i fondamenti razionali dell’umiltà. San Tommaso parla dell’umiltà come virtù morale e parte integrante della virtù della temperanza; ma la sua definizione dell’umiltà quale virtù moderatrice e freno dell’anima, perché l’uomo non esageri nel tendere verso cose alte, ci sembra che mal si concili con l’umiltà in Gesù e in Maria. L’umiltà in un teologo moderno L’umiltà – afferma Garrigou- Lagrange nel libro Le tre età della vita spirituale – non consiste solo nel reprimere l’orgoglio sotto tutte le sue forme, perché questa virtù fu esercitata in modo eminente dalla Vergine e in modo eminentissimo da nostro Signore. L’umiltà consiste nell’inchinarsi verso terra e abbassarsi dinanzi a Dio, riconoscendo la verità che tra il Creatore e la creatura vi è una distanza infinita. Più questa distanza ci si presenta in modo vivo e concreto più siamo umili. L’umiltà cosi intesa ha un suo duplice fondamento dogmatico: il mistero della creazione dal nulla; il mistero della grazia e della necessità della grazia attuale. E da qui derivano quattro conseguenze: 1) Per noi stessi siamo un vero nulla. 2) Dio è l’ordinatore supremo che dirige tutte le cose e da lui dobbiamo ricevere umilmente la direzione generale dei precetti e la direzione particolare per ciascuno di noi, contenti di accettare anche l’ultimo posto nascosto, ma sempre tanto più fecondo. 3) Abbiamo bisogno, quindi, del soccorso della grazia attuale che dobbiamo chiedere umilmente per perseverare sino alla fine. Dio è l’autore della grazia. 4) Dopo il peccato, alla nostra indigenza si aggiunge la nostra miseria, inferiore allo stesso nulla, poiché è un disordine che riduce talvolta l’anima ad uno stato di abiezione addirittura detestabile. Il Miserere ci ricorda queste grandi verità: Abbi pietà di me, Dio mio, secondo la tua bontà; secondo la tua grande misericordia cancella le mie colpe. Lavami dalla mia iniquità e purificami dal mio peccato… Contro te solo ho peccato, ho commesso ciò che è male ai tuoi occhi… Purificami… lavami e diverrò più bianco della neve… Distogli la faccia dal mio peccato; crea in me un cuore puro ed uno spirito retto… rendimi la gioia della tua salute. Chi è che conosce i propri deviamenti? Perdonami quelli che ignoro (Sal 50). La vera umiltà differisce dalla pusillanimità. L’anima umile dice con Maria: Ecco l’ancella del Signore, si faccia di me secondo la tua parola. Descrivendo l’umiltà verso il prossimo, Garrigou-Lagrange riprende il pensiero di san Tommaso sopra esposto e, aggiungendo un’altra affermazione dell’Aquinate (I, q. 20, a. 3): Essendo per noi l’amor di Dio causa di ogni bene, nessuno potrebbe esser meglio dell’altro se non fosse amato maggiormente da Dio. Che hai tu che non l’abbia ricevuto?(1 Cor 4, 7), sottolinea che l’umiltà non fugge le grandi cose; essa al contrario fortifica in noi la magnanimità facendoci tendere umilmente verso le cose alte, sull’esempio del Maestro che dice: Il figlio dell’uomo è venuto non per essere servito ma per servire (umiltà) e per dare la sua vita per la redenzione di un gran numero di anime (ecco la magnanimità) (Mt 20, 28). Nella pratica Come dobbiamo fare in pratica per giungere alla perfezione dell’umiltà, senza la quale non possiamo avere quello della carità? Non dobbiamo mai lodare noi stessi; dobbiamo accettare pazientemente i rimproveri meritati; dobbiamo pure accogliere pazientemente, un rimprovero poco o punto meritato; avere amore al disprezzo. Santa Teresa d’Avila spiega che per avere i gradi più alti dell’umiltà, che sono – essa dice – puri doni di Dio e beni soprannaturali, occorre una certa contemplazione infusa dell’umiltà del Signore crocifisso per noi e il vivo desiderio di rassomigliargli. L’umiltà di Gesù è l’esemplare eminente della nostra. Dobbiamo contemplare la maestà infinita del Salvatore per poter comprendere un po’ fino a qual punto si è abbassato e non ha ritenuto avidamente la sua eguaglianza con Dio ed ha annientato sé stesso (Fil 2, 5). Il Verbo non ha lasciato la sua natura divina, ma l’ha come annientata prendendo la natura umana, che è come vuota rispetto alla pienezza infinita di ogni perfezione che è la natura divina. Il Figlio ha preso la forma di schiavo affinché nella sua Persona fosse tanto Figlio di Dio quanto figlio dell’uomo, il neonato del presepe e l’uomo dei dolori inchiodato sulla croce. Eccetto il peccato, egli ha assunto del tutto la condizione umana: ha voluto nascere tra i poveri, ha sofferto la fame e il freddo, si è affaticato e stancato. San Paolo penetra ancora di più il mistero della kénosi: Ha umiliato sé stesso facendosi obbediente fino alla morte , per testimoniare come uomo che più grande sei, più devi essere umile in tutte le cose, e troverai grazia dinanzi a Dio; poiché grande è la potenza di Dio ed egli è glorificato dagli umili (Sir 3, 18-20). Contrassegno dell’umiltà è l’obbedienza, che rende meritorie le nostre azioni e le nostre sofferenze, che possono divenire fecondissime perché il Signore ha glorificato il dolore con l’obbedienza e con l’amore. L’obbedienza è grande ed eroica quando non rifiuta la morte e non sfugge l’ignominia. Gesù è stato condannato alla morte più infame ed è stato necessario questo suo abbassamento prima che egli entrasse nella sua gloria di Redentore, sorgente di ogni grazia, oggetto di amore e di adorazione. Cristo, entrando nel mondo, ha detto al Padre: Tu non hai voluto né sacrifici né oblazioni (dell’antica legge) ma mi hai formato un corpo… Allora ho detto: Eccomi… vengo, mio Dio, per fare la tua volontà (Eb 10, 5). Nel Natale i due estremi si sono uniti: II Verbo si è fatto carne. E il riavvicinamento della suprema ricchezza e della perfetta povertà, per dare agli uomini la redenzione e la pace. Non si può concepire una unione più intima tra l’umiltà più profonda e la dignità più elevata. I due estremi infinitamente distanti sono intimamente uniti: Dio solo poteva farlo. E l’unione più stretta tra l’umiltà perfetta e la più eccelsa grandezza d’animo. Tra due estremi Come conciliare nella nostra vita questi due estremi, cioè l’abbassamento che il Signore ci chiede e il desiderio ardente del nostro avanzamento (Siate perfetti come il Padre celeste)? Questa difficoltà non esiste per le anime che hanno la semplicità superiore che viene dalla grazia: Chi si farà umile come questo fanciullino, sarà il più grande nel regno dei cieli (Mt 18, 1); Umiliatevi sotto la potente mano di Dio, affinché vi sollevi al tempo destinato; mettete in lui tutte le vostre sollecitudini, poiché egli stesso si prende cura di voi (1Pt 5, 6); Umiliatevi avanti al Signore, ed egli vi solleverà (Gc 4, 10); II Signore mortifica e vivifica, fa scendere negli abissi e ne ritrae, fa impoverire ed arricchire, egli umilia ed esalta (1 Re 2, 6). San Paolo vive questa unione di umiltà e grandezza d’animo in modo particolarmente misterioso: da un lato egli si dichiara l’ultimo, dall’altro è di una dignità sovrumana. Il principio di questa conciliazione dell’umiltà e della magnanimità (tendere a cose grandi), è espresso da san Paolo stesso nella 2 Cor 4, 7: Portiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché apparisca che questa somma potenza del vangelo viene da Dio e non da noi. Questa conciliazione è espressa in una formula che si trova nelle opere di san Tommaso: II servo di Dio deve sempre considerarsi come un principiante e tendere sempre ad una vita più perfetta e più santa, senza mai arrestarsi. Vi è sempre, però, tra il Salvatore e i santi una differenza immensa. Più simile a lui è la Beata Vergine che è stata preservata da ogni colpa e che nel Magnificat si manifesta umilissima e sublime; e qualche cosa di simile appare nella vita della Chiesa che, nella sua storia, sembra spesso vinta, ma è tuttavia sempre vittoriosa; nella sua umiltà aspira a queste due grandi cose: la gloria di Dio e la salute delle anime. Ogni cristiano deve essere veramente umile e tendere sempre a cose grandi, cioè ad una fede più viva, ad una speranza più ferma, ad una carità più ardente, ad una unione con Dio ogni giorno più intima, pura e forte.