Manovra eccezionale, eccezionale il voto

Attacco speculativo all’Italia, manovra finanziaria approvata in pochi giorni. Una pagina inedita della nostra storia. Ma i problemi non si sono risolti. Anzi
Giorgio Napolitano

La scorsa settimana si era chiusa nel panico. Venerdì 8 luglio un’atmosfera drammatica aveva avvolto il Paese, improvvisamente catapultato dentro una tempesta finanziaria. D’improvviso, si materializzavano incubi vicini eppur osservati a distanza, come non ci riguardassero. La Grecia. La Spagna. Il Portogallo. L’Irlanda. E i loro popoli in tumulto per la crisi, gli stipendi tagliati, le tredicesime sfumate… Germania e Francia, quei Paesi, sì, ci ostinavamo a sentirli più prossimi a noi. E invece, siamo stati costretti ad acquisire consapevolezza non solo del debito pubblico, questo mostro sconosciuto, ma anche di parole per addetti ai lavori (spread, default…).

 

Che cosa abbia provocato il “venerdì nero”, secondo il costume italico, è oggetto di battaglie dialettiche. L’attacco all’euro e la debolezza complessiva del quadro europeo, per alcuni; le questioni politiche interne, secondo altri. In particolare, il conflitto non mascherato e non mascherabile tra il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia. Alla vigilia del varo di una manovra finanziaria di grande importanza per qualità e quantità, un confronto pieno di tensione tra i due aveva dato adito a timori di dimissioni del ministro Tremonti. La gran parte degli analisti annette a questo momento di estrema debolezza del governo l’attacco speculativo all’Italia, che ha prostrato i nostri titoli di Stato, fatto crescere la spesa per interessi in maniera incontrollata e crollare la borsa. Pochi giorni dopo, il ministero del Tesoro doveva affrontare la collocazione di altri titoli di stato sul mercato.

 

Abbiamo visto il baratro. La lettura politica della crisi trova una conferma nell’efficacia della risposta politica. Dal presidente Napolitano giunge un appello alla coesione, uno “stringiamoci a coorte” che viene tempestivamente raccolto. E se le divisioni nella maggioranza avevano fatto da detonatore, il varo della manovra da parte del Consiglio dei ministri e la dichiarazione delle opposizioni di voler contribuire alla sua rapida approvazione, impedisce al fuoco di divampare e lo ripone sotto la cenere.

Si scrive così una pagina davvero inedita della nostra storia: l’approvazione di una intera manovra finanziaria in una settimana, con il capo dello Stato che ha anticipato il rientro da una visita estera, la pubblicazione lampo nella Gazzetta Ufficiale e… i primi, nuovi ticket sanitari da pagare il giorno successivo. Oltre al resto, naturalmente.

 

Il presidente Napolitano ha potuto finalmente comunicare al Paese che «ha motivo di essere grato al Parlamento» per la «prova straordinaria di consapevolezza e di coesione nazionale», con una menzione speciale per il comportamento delle opposizioni. Sarà possibile mantenere questo clima di non belligeranza? Sarebbe necessario ma non sarà possibile. Le opposizioni hanno rimarcato che non potrà più essere chiesta loro la collaborazione prestata in questa circostanza, poiché nella loro analisi è il governo ad avere la responsabilità dell’accaduto e della non brillante situazione economica; il bene del Paese richiederebbe quindi una guida capace di garantire una maggioranza ampia, per compiere scelte dure ma finalmente anche in grado di rilanciare la crescita. Oppure, si vada subito al voto.

 

Ben diversa la posizione di Berlusconi, incredibilmente silenzioso in questa delicatissima settimana appena trascorsa. Il presidente del Consiglio – lo ha detto più volte – non darà mai le dimissioni. Il suo modo di interpretare la vittoria elettorale lo mette al riparo da qualsiasi valutazione in costanza di mandato. Saranno gli elettori, una volta scaduta la legislatura, a dare il giudizio sul governo; nel frattempo, si va avanti. Qualsiasi cosa accada. Se così è, il governo non si discute e di conseguenza non è possibile coesione nazionale. Alle opposizioni che chiedono un cambio di governo, Berlusconi e Bossi rispondono che le riforme le farà questo governo, che può andare avanti perché ha i numeri in parlamento.

 

Una risposta che appare troppo semplicistica. Speriamo solo che non siano di nuovo i mercati a far intravedere la complessità della situazione.

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