MANNAGGIA AL TORMENTONE
Gira che ti rigira, con l’arrivo dell’estate si finisce sempre col parlare di loro. I famigerati tormentoni. Quel frivolo martellare sui timpani destinato, nelle migliori ipotesi, a far da colonna sonora alle nostre grigliate montanare, alle nostre tintarelle di luna, alle nostre code vacanziere. Fioccano le scommesse. Anche se, come sempre, è difficile dire se alla fine uno di questi riuscirà a spuntarla sui concorrenti. O se invece ne avremo una manciata sostanzialmente affiancati, a spartirsi le risicate minestrine che passano le classifiche di vendita e le playlist radiofoniche. La caratteristica primaria, oserei dire genetica del tormentone, è che prima intriga e poi sfianca. Se poi s’accoppia a uno spot, come sempre più spesso accade, allora si può facilmente arrivare alle soglie di un vero e proprio rigetto. E spesso ci vogliono anni per riprendersi: finché un bel giorno ci s’accorge che proprio a quell’insulso ammasso di note e di rime stupidissime s’era appiccicato un pezzetto di noi, e che niente come quello sa riportarcelo alla mente, e a volte nel cuore. Quelli di quest’anno non hanno nulla di diverso dai loro predecessori, in barba a tutto quel che gli – e ci… – sta capitando intorno. Ma anche questo la dice lunga sul nostro bisogno di trovare, proprio in questi tempi difficili la rassicurazione di una consuetudine, per quanto banale essa sia. E allora ecco l’insopportabile luna telefonica dei Paps’n’- Skar, e le infinite latinerie da supermercato, ecco il pop originariamente elevato della This Love dei Maroon 5 e le sconcezze del ventenne Eamon, e poi Superstar di Jamelia, Waves of Luv dei 2Black… eccetera eccetera. Insomma, nulla di nuovo dal fronte occidentale. Basti dire che la trovata più spiazzante e simpatica l’hanno avuta quei gran mattacchioni di Elio & Le Storie Tese che con la loro Oratorium, si son tolti lo sfizio di firmare niente meno che l’inno ufficiale degli oratori italiani, in tenero omaggio ai loro trascorsi adolescenziali. Ma nel complesso siamo alle solite. Anche perché, se c’è una cosa insopportabile del tormentone, è che alla lunga tutto riesce a livellare, omogeneizzando genialità e astuzia, genuinità poetica e calcolo algebrico, passione e qualunquismo. Trasformateli in tormentoni e non riuscirete più a distinguere non solo un Dylan da una Beyoncé, ma neppure un Beethoven dai Gazosa. E non c’è difesa alcuna, se non la fuga in qualche luogo così remoto da risultare inaccessibile alla maggioranza dei mortali dalle tasche vuote. E allora, tra i festival dei cornetti e delle birre, tra insulsaggini cato-cellular-radiofoniche e angosce sottocutanee, tanto vale rassegnarsi. Senza neanche prendersi la briga di profetizzare quale sarà la canzonetta regina di questa bisestilissima estate. Perché davvero una vale l’altra, perché ben altri sono i mali, e perché tutto passa, grazie a Dio.