Una manifestazione nazionale per fermare la guerra nucleare
Il mondo si trova sull’orlo di una possibile guerra nucleare anche se l’opinione pubblica stenta ancora a crederci davvero. Con la risoluzione del 6 ottobre il Parlamento europeo «invita gli Stati membri e i partner internazionali a preparare una risposta rapida e decisa qualora la Russia compia un attacco nucleare contro l’Ucraina».
Come dice il filosofo Massimo Cacciari, sembra che esista una sorta di ineluttabilità di fronte ad un tale scenario che rappresenterebbe un punto di non ritorno con l’innesco di un’escalation destinata ad eliminare l’umanità dalla faccia della Terra.
Ne parlano da tempo gli scienziati e gli strateghi militari. Sia coloro che sono convinti di poter limitare l’impatto degli ordigni cosiddetti tattici che quelli che prefigurano effetti terrificanti e si mostrano molto preoccupati.
L’Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo ha reso disponibile uno studio di scenario che utilizza «il modello di elaborato da Alex Wallerstein e applicato dall’università di Princeton per stimare le vittime di un conflitto nucleare generalizzato che, in quel tragico caso, ammonterebbero a una cifra di circa 34 milioni soltanto nelle prime ore».
Ma anche prima di arrivare a tali conseguenze estreme, prendendo in esame gli effetti delle solo iniziali armi nucleari “tattiche” «le conseguenze sarebbero catastrofiche. Le bombe russe potrebbero attaccare obiettivi in Italia “paganti” dal punto di vista militare, quali basi aeree e navali e comandi Nato».
Secondo la simulazione, pubblicata sulla rivista on line di Archivio Disarmo Iriad review. Studi sulla pace e sui conflitti «il bombardamento russo degli obiettivi sopracitati provocherebbe almeno 55 mila morti e oltre 190 mila feriti» senza contare «il danno economico che il blocco di infrastrutture e di centri nevralgici provocherebbe sull’intera Penisola e quello ambientale provocato dal fall out nucleare e dalla persistenza delle radiazioni».
Bisogna pertanto partire da questa consapevolezza per capire l’unità di intenti che pare segnare la larga adesione alla manifestazione per la pace indetta a Roma per il 5 novembre dalla coalizione delle realtà associative e dei movimenti radunate sotto la sigla Europe for peace.
La capofila di tale iniziativa è la Rete italiana Pace e Disarmo che ha presentato i contenuti della manifestazione in una conferenza stampa che si è tenuta in Campidoglio martedì 18 ottobre con la partecipazione di molte organizzazioni nazionali.
L’appello per il 5 novembre punta direttamente alla richiesta rivolta all’Onu di farsi promotrice di una conferenza internazionale di pace. È chiesto in questo senso all’ Italia, all’Unione Europea e agli stati membri delle Nazioni Unite di assumersi «la responsabilità del negoziato per fermare l’escalation e raggiungere l’immediato cessate il fuoco».
Si precisa in particolare che «è urgente lavorare ad una soluzione politica del conflitto, mettendo in campo tutte le risorse e i mezzi della diplomazia al fine di far prevalere il rispetto del diritto internazionale, portando al tavolo del negoziato i rappresentanti dei governi di Kiev e di Mosca, assieme a tutti gli attori necessari per trovare una pace giusta».
Evidentemente si presume, con la chiamata alla manifestazione popolare, che tale volontà di trovare una via diplomatica non sia stata cercata concretamente dai vari soggetti che potevano farlo. Come ha affermato ad esempio Romano Prodi fin dall’inizio del conflitto, la contesa geopolitica va oltre gli stati coinvolti e chiama ad un accordo tra Usa e Cina.
Nell’appello di Europe for Peace è ben chiara l’indicazione della responsabilità russa dell’aggressione e si esprime la vicinanza alla sofferenza della popolazione ucraina senza entrare nel merito della questione della fornitura di armi a Kiev da parte dei Paesi occidentali nel solco della scelta strategica decisa dalla Nato.
Ci si concentra perciò sull’urgenza di arrivare con la pressione dell’opinione pubblica mondiale ad un cessate il fuoco e a vere trattative di pace.
La data fissata del 5 novembre non è a breve termine ed esposta alle variabili della guerra in corso che si fa sempre più cruenta. Proprio nel giorno della conferenza stampa romana le agenzie hanno riportato il viaggio a sorpresa negli Usa del ministro della Difesa britannico Ben Wallace per discutere della minaccia di un attacco nucleare da parte della Russia, mentre il comandante russo Surovikin, conosciuto con il soprannome Armaghedon (nome biblico della finale battaglia apocalittica) ha affermato letteralmente che «non possono essere escluse decisioni difficili».
Nonostante le migliori buone intenzioni la manifestazione in programma a Roma, assieme al riconoscimento dell’azione tenace di pace condotta da papa Francesco in questi mesi, si presta ad essere usata a fini politici con l’attenzione dei media catalizzata dalla presenza dei leader di partito che comunque si sono impegnati a non far esporre bandiere di parte. Consegna che avrà le sue eccezioni come sempre senza contare le miriadi di gruppi molto compatti che esprimeranno slogan interpretabili in senso pro Putin e ovviamente contro la Nato. Fenomeni fisiologici in un evento che dovrebbe radunare oltre 100 mila persone ma che conta, come sempre, sulla macchina organizzativa della Cgil, affiancata questa volta anche dalla Cisl oltre che dalla Uil.
La posta in gioco è troppo alta («La minaccia nucleare incombe sul mondo. È responsabilità e dovere degli stati e dei popoli fermare questa follia» afferma all’inizio l’appello alla manifestazione) per ridurre il tutto ad una contesa di egemonia effimera e localistica di sigle e visibilità. Ma molto sarà deciso dalla convinzione e dalla capacità di far valere le ragioni e le istanze dei numerosi movimenti e associazioni che hanno indetto iniziative diffuse in diverse città italiane dal 21 al 23 ottobre.
Nell’alveo di questa mobilitazione politica e delle coscienze viene a porsi una proposta di negoziato di pace a partire da alcuni punti condivisi inizialmente da 11 intellettuali appartenenti a culture di destra, di sinistra e del mondo cattolico come Stefano Zamagni che aveva già proposto su Avvenire una sua piattaforma per il negoziato di pace.
È lo stesso quotidiano della Cei che ora rilancia l’adesione alla piattaforma per “un negoziato credibile per fermare la guerra” proposto da Antonio Baldassarre, Pietrangelo Buttafuoco, Massimo Cacciari, Franco Cardini, Agostino Carrino, Francesca Izzo, Mauro Magatti, Eugenio Mazzarella, Giuseppe Vacca, Marcello Veneziani e Stefano Zamagni.
La proposta ha ricevuto immediatamente severe critiche da più parti a partire dalla stroncatura di Lucio Capone su Il Foglio che parla di una proposta cattorossobruna mentre Nathalie Tocci, direttrice dell’ Istituto Affari internazionali, mette in guardia dai “finto pacifisti” affermando che «finché c’è Putin al Cremlino un accordo non ci sarà, nel migliore dei casi si potrà immaginare una tregua. In Italia in molti si riempiono la bocca di “pace” storpiando la parola più grande in una misera foglia di fico per mal celare bieca ideologia, cinismo e paura».
È questo il contesto di un difficile e animato dibattito che rimanda alle tensioni precedenti la prima guerra mondiale e che accompagnerà la preparazione della manifestazione del 5 novembre, che arriverà dopo la festa delle forze amate del giorno precedente e avrà di fronte come interlocutore il nuovo governo guidato da Giorgia Meloni.
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