Manifestare per la pace. Per dire cosa?

Con l’aggravarsi del conflitto bellico in Ucraina, che apre scenari inquietanti di guerra nucleare, emergono in Italia proposte di una grande manifestazione per chiedere l’apertura del negoziato internazionale di pace e il cessate il fuoco. Ma la tragedia in corso ha aperto divisioni anche nella società civile oltre che nella politica
Ucraina (AP Photo/Kostiantyn Liberov)

Il conflitto in Ucraina ha aperto lo scenario della guerra nucleare che non rientra più tra le ipotesi remote e teoriche. Una volta avviata, l’escalation bellica risponde ad un automatismo che è assai difficile fermare e può allargarsi in maniera accidentale.

Foto Cecilia Fabiano /LaPresse

La coalizione internazionale Europe for peace sta lanciando in questi giorni un invito alla mobilitazione per chiedere di far tacere le armi e avviare un negoziato di pace. L’idea è quella di promuovere manifestazioni diffuse dal 21 al 23 ottobre alla vigilia degli 8 mesi dall’invasione russa dell’Ucraina e della settimana Onu per il disarmo. Una parola, disarmo, che suona come una beffa paradossale davanti ad una politica generale di riarmo che coinvolge ormai ogni Paese.

La questione ha degli inevitabili riflessi politici in Italia alle prese con la formazione del futuro governo a trazione Fratelli d’Italia, che si annuncia schierato sulla linea atlantista tracciata dall’esecutivo Draghi, e un’opposizione frastagliata e divisa. Con il Pd è in cerca della propria identità verso un congresso decisivo per il suo futuro, mentre i 5 Stelle mostrano un dinamismo movimentista come dimostrato dall’intervista ad Avvenire di Giuseppe Conte, che si è dichiarato disponibile a scendere in piazza con i pacifisti senza esporre bandiere di partito.  Una dichiarazione censurata duramente come espressione di opportunismo da alcuni commentatori tradizionalmente critici verso l’ex presidente del Consiglio.

Lo storico movimento nonviolento, quello fondato da Aldo Capitini, parla a tutti i politici tramite il suo presidente attuale, Mao Valpiana, che li invita fare “mea culpa”: «Questa guerra è in corso e non saranno parole e striscioni a fermarla – sottolinea Valpiana appena tornato dall’Ucraina per sostenere gli obiettori di coscienza da entrambe le parti – bisognava lavorare per la pace in tempo di pace, bisognava fare politiche di disarmo anziché votare i bilanci militari. Bisognava non costruire le armi che oggi sparano. Bisognava sostenere le proposte preventive della nonviolenza, unica alternativa alla guerra».

Resta aperta, ad ogni modo, la domanda: a cosa serve una manifestazione per la pace? Per chiedere cosa?

Secondo l’assemblea nazionale dell’associazione “Un ponte per…”, tra i promotori dell’ultima missione in Ucraina di Stopthewarnow, «non abbiamo bisogno di una manifestazione di pacifisti già convinti del ripudio della guerra e delle armi, ma di una manifestazione di popolo che smuova l’insieme della società, che rappresenti una rottura culturale e politica con l’attuale linea scelta da larghissima parte delle istituzioni europee e nazionali di affidare all’opzione militare la soluzione del conflitto in Ucraina».

La ong, presente come ponte di pace in tante zone di conflitto, fa parte della Rete pace e disarmo che fin dall’inizio del conflitto si è dichiarata contro l’invio di armi in Ucraina. La manifestazione in programma dal 21 ottobre si pone in continuità con tale linea come sottolinea Giulio Marcon, economista promotore di Sbilanciamoci, perché vuole chiedere al «nostro governo attuale (e a quello futuro) di intraprendere una nuova strada» da quella seguita finora: «il governo deve sposare un’altra via, quella della mediazione e del dialogo, deve fare concrete proposte di negoziato, coinvolgere le Nazioni unite».

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Un giudizio politico esplicito contro le responsabilità di chi poteva impedire il precipitare nella condizione attuale di pre guerra nucleare, dato che ancora all’inizio del conflitto «si poteva prevenire l’aggravamento dei mesi a venire, facendo sentire la propria voce nei primi mesi di questa guerra, quando sono partiti i negoziati tra ucraini e russi, ma anche in questo caso la comunità internazionale è stata divisa, latitante e complice della continuazione dei combattimenti».

Come è noto anche il mondo dei movimenti per la pace è frastagliato e diversificato. La tradizionale marcia Perugia Assisi la promuove la Tavola della pace che ha promosso sabato 8 ottobre un’assemblea presso il grande convento dei francescani di Assisi.

La manifestazione nazionale del 5 marzo contro la guerra “per un neutralismo attivo” si è svolta, invece, a Roma per iniziativa di Rete pace e disarmo con il sostegno coovinto e concreto della Cgil. Il sindacato guidato da Landini ha posto la questione del negoziato per la pace anche nella piattaforma della manifestazione nazionale di sabato 8 ottobre a Roma.

Secondo “Un Ponte per…”  lo scenario estremo dell’ecatombe nucleare è così estremo da dire che «a tutte le forze disponibili a mobilitarsi per fermare la guerra, alle forze sindacali e associative, che è giunto il momento di mettere da parte le differenze e le gelosie organizzative e mettersi a disposizione di un percorso partecipato ed includente».

Persegue un suo percorso, invece, l’iniziativa recente del Mean che vede tra i principali promotori Vita e il consorzio Sale della terra, anch’essi recatisi in  Ucraina dopo l’aggressione russa, che hanno promosso per il 13 ottobre un sit in davanti l’ambasciata russa a Roma per chiedere tra l’altro il «cessate il fuoco e ritiro immediato delle truppe russe dal territorio ucraino»  oltre a «riconoscere la piena indipendenza ed autonomia dello Stato Ucraino dalla Federazione Russa nei confini riconosciuti dalla comunità internazionale prima del 2014»  e fermare l’ escalation nucleare per «riprendere il percorso del disarmo dalle armi atomiche».

La posizione che vuole esprimere  questa iniziativa è precisata da Riccardo Bonacina su Vita dove  afferma che «nel nostro Paese, in particolare, la parola pace è diventata divisiva, per molti, pace è chiedere di non inviare armi all’Ucraina perchè se continua a difendersi si rischia la guerra nucleare e un po’ di freddino nelle nostre case. Sembra un non sense e invece no, lo affermano ogni giorno. Dall’altra parte chi pensa che il popolo ucraino abbia il diritto di difendersi da un’aggressione crudele e illegittima, non ha dimostrato di aver la forza di urlare in faccia a Putin che pretendiamo la pace a partire da un cessate il fuoco immediato».

(AP Photo/Kostiantyn Liberov)

La guerra in Ucraina, quindi, oltre a condurci davanti all’abisso nucleare, ha provocato una divisione nella società civile più impegnata oltre che nella politica, anche se vale per tutti il grido lanciato da papa Francesco nell’Angelus del 2 ottobre. Parole che si rivolgono alla coscienza profonda di ognuno : «Il mio appello si rivolge innanzitutto al presidente della Federazione Russa, supplicandolo di fermare, anche per amore del suo popolo, questa spirale di violenza e di morte. D’altra parte, addolorato per l’immane sofferenza della popolazione ucraina a seguito dell’aggressione subita, dirigo un altrettanto fiducioso appello al presidente dell’Ucraina ad essere aperto a serie proposte di pace.

A tutti i protagonisti della vita internazionale e ai responsabili politici delle Nazioni chiedo con insistenza di fare tutto quello che è nelle loro possibilità per porre fine alla guerra in corso, senza lasciarsi coinvolgere in pericolose escalation, e per promuovere e sostenere iniziative di dialogo. Per favore, facciamo respirare alle giovani generazioni l’aria sana della pace, non quella inquinata della guerra, che è una pazzia!».

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Vedi anche intervista a don Renato Sacco di Pax Christi, di ritorno dalla missione Stopthewarnow in Ucraina

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