Manganelli e il coraggio di chiedere scusa

Il capo della polizia ha espresso rammarico per il modo in cui un bambino è stato prelevato a scuola dagli agenti. E ha avviato una rigorosa indagine interna
antonio manganelli

Le immagini, tristissime, di un bambino trascinato con la forza dagli agenti di polizia che dovevano affidarlo al suo papà, mandate in onda qualche giorno fa da “Chi l’ha visto”, stanno suscitando polemiche e sdegno. Il video, cliccatissimo, gira ancora su internet, e le critiche, di politici e gente comune, si sprecano.
 
La storia, a grandi linee, non è diversa da tante altre: un bambino di dieci anni vive con la madre ma viene affidato dai giudici al padre. Quelle che cambiano sono evidentemente le modalità di esecuzione del provvedimento giudiziario. Gli agenti, insieme al padre, si recano a scuola di buon mattino. Gli insegnanti fanno uscire gli altri alunni dalla classe e fanno entrare il padre. Il bambino viene portato via, ma non è d’accordo. Si ribella – col papà non ci vuole proprio andare – poi tenta di scappare via. Gli agenti lo rincorrono, lo afferrano e lo trascinano via sotto gli occhi allibiti dei familiari materni, fino al centro di accoglienza dove è attualmente ospitato.
 
Al di là di qualsiasi valutazione di opportunità giuridica e degli errori commessi dai genitori, restano gli atti di violenza. Ingiustificabili.
 
Innanzi tutto, nei confronti di un bambino di dieci anni, che probabilmente non dimenticherà mai quanto ha vissuto mentre era in un luogo “sicuro”, la scuola, da parte di persone – i poliziotti, il suo papà – che in teoria dovrebbero proteggerlo, aiutarlo, rassicurarlo.
 
Poi nei confronti dei compagni di scuola. A dieci anni si può comprendere una storia del genere? La dirigente scolastica ha affermato di aver pianto, quando ha visto le immagini. Quale reazione avranno avuto i bambini quando lo hanno visto o saputo? Quali conseguenze avrà sulla loro mente? Continueranno a fidarsi delle forze dell’ordine e, più in generale, degli adulti?
 
Infine, c’è la violenza subita da quanti hanno visto quelle immagini. Ma siamo davvero in Italia, ci chiediamo sconvolti? Siamo in un Paese civile che tutela i suoi cittadini, anche colpevoli di reato, fino a prova contraria? Se è ancora così, qualcuno deve spiegarci cosa ha fatto di male un bambino di dieci anni – già probabilmente sconvolto per l’incomprensibile “guerra” in atto tra la sua mamma e il suo papà – per essere trattato peggio di un boss della malavita, al quale, di solito, viene riservato un certo rispetto al momento dell’arresto.
 
Tra tanti che chiedevano spiegazioni e qualcuno che tentava di darne, qualcun altro – e non una persona qualsiasi – ha per fortuna chiesto scusa. “Rammaricato” per l’accaduto, il capo della polizia Antonio Manganelli ha immediatamente disposto un’inchiesta interna, che sarà condotta con “il massimo rigore”, per appurare le responsabilità di quanto avvenuto.
 
Ancora una volta, tocca a lui rimediare. Nuove scuse, dopo quelle pronunciate per le scene da “macelleria messicana” vissute da tanti innocenti nella scuola Diaz all’epoca del G8 di Genova. E speriamo che stavolta, chi si è reso colpevole di qualche mancanza o di eccesso di zelo, venga individuato tempestivamente e messo di fronte alle sue responsabilità
 
Interessante, in tutto questo marasma, la reazione del garante per la protezione dei dati personali, che ha invitato i mass media a non diffondere le immagini del bambino che si dibatte disperato mentre lo portano via in quanto, ha spiegato, si rischia di violarne la privacy e la dignità. Ma non è stato invece quel modo di agire – denunciato dal video – ad aver violato la persona, la dignità e la salute di quel ragazzino?

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