Mandela, la coscienza del futuro
Ieri sera 5 dicembre è morto Nelson Mandela. Grazie per la sua vita, arrivata alla sua conclusione, sazia di giorni, secondo la parola delle Scritture. Madiba,come lo chiamavano tutti con grande affetto, è finalmente entrato nella terra del santo riposo ed è entrato con pace e dignità.
Ha vissuto tutta la sua vita al servizio del suo popolo e del suo paese. Ha passato quasi trent’anni nelle prigioni del governo sudafricano che aveva fatto dell’apartheid, il suo programma. Ha conosciuto la lotta armata, ma poi ha capito che altre erano le armi con cui avrebbe vinto la grande battaglia di civiltà del suo popolo: il rifiuto dell’odio, la forza del perdono, la verità delle vittime, la conversione dei carnefici, la riconciliazione come grande sfida per il presente e il futuro del suo Paese.
Ho avuto il dono di incontrare Mandela, il primo novembre 2001. Ero andato in Sud Africa insieme ad alcuni amici dell’Unicoop per un progetto di sostegno ai bambini malati di Aids, promosso dalla sua Fondazione. Alle 12 puntualissimo, nonostante in quei giorni fosse molto impegnato nella mediazione per le guerra nel Burundi, Madiba ha ricevuto la nostra piccola delegazione. Volle che partecipassimo alla sua conferenza stampa di fronte a giornalisti di tutto il mondo, che volevano conoscere quali prospettive di soluzioni alla guerra avrebbe presentato. Apprezzò il nostro impegno per i bimbi sudafricani malati di Aids.
Nell’ottobre 2005, a Joannhesburg, lo incontro nella sede della Fondazione a lui intitolata ai margini di una conferenza stampa di presentazione di un libro a fumetti,che illustrava la sua vita. Già faceva molta fatica a camminare e gli consigliai una carrozzina. Mi rispose in modo sorprendente: «Un capo non usa la carrozzina»,a indicare non un gesto di arroganza, ma piuttosto che il suo tempo stava finendo e che altri avrebbero dovuto prendere il suo posto.
Il suo senso della politica era vivere sulla frontiera dell’impossibile, dal carcere alla leadership del Sud Africa, facendo della prigione il luogo di una straordinaria riflessione culturale e politica. Il futuro del Sud Africa non poteva avere lo stigma della vendetta che avrebbe lacerato e devastato il Paese per un tempo infinito.
Proprio guardando Joannesburg dal ghetto di Soweto (tre milioni e mezzo di persone segregate) era evidente che se fosse iniziata una guerra civile, il popolo avrebbe pagato un prezzo di sangue indicibile e intollerabile: tutti avrebbero perso e nessuno avrebbe vinto. La scelta vincente del perdono, della non violenza, della riconciliazione e della verità rappresenta un passaggio decisivo nella storia culturale e politica del suo Paese e di tutto il mondo. Ciò che era impossibile apparve possibile e la politica trovò nel rendere possibile l’impossibile la sua vera vocazione.
Da presidente della Repubblica volle nel suo governo un ministero dei bambini, delle donne e dei disabili, cioè un ministro difensore dei più deboli, a indicare una straordinaria attenzione alle persone più sofferenti anche nel nuovo Sud Africa, verrebbe da dire un ministero delle vittime, perché la vera forza del potere era ascoltare i più feriti e da li costruire il nuovo Paese.
La virtù e la cultura del perdono che fondano la presidenza Mandela e che rappresentano il contributo dell’Africa al futuro del mondo sono una profezia e diventano visione e sapienza per tutti. Si può e si deve cambiare la storia senza le armi: questo è il vero insegnamento che viene da questo maestro della libertà.
Si può colpire al cuore la malattia delle malattie che è l’odio. Si può guardare ai conflitti con gli occhi delle vittime, che sono gli occhi della verità contro gli interessi e le ideologie, che invece vivono dei conflitti e li alimentano. Si può e si deve uscire dalla prigionia dell’inimicizia per raggiungere il porto pacifico della fraternità.
Alla fine del mio ultimo colloquio mi disse che avrebbe parlato agli studenti del suo Paese del mio assessorato al perdono e alla riconciliazione che ricoprivo in quel momento perché vi trovava una conferma al suo disegno, che si espandeva in altre parti del mondo. Si sentiva confortato dal fatto che la sua visione uscisse dai confini del suo Paese e trovasse concreti strumenti di politica altrove.
Visto da vicino era magnetico, come una santa montagna, che portava e racchiudeva la fatica e il dolore del mondo. Chiedeva a tutti con coraggio comportamenti coerenti a questa visione e non escludeva pregiudizialmente nessuno. La sua era una politica che non voleva cambiare solo le strutture del potere, ma il cuore delle persone e creare consenso che unisce e vendetta che divide e spezza.
La commissione “Verità e riconciliazione”, presieduta da Desmond Tutu è stato lo strumento di questa conversione, che ha dato dignità alle vittime e possibilità di guarigione ai carnefici in una straordinaria narrazione che cambiato il cuore del popolo sudafricano.
Attraverso Mandela, l’Africa parla a se stessa e parla al mondo. Oltre la retorica di queste ore un’altra politica è possibile. Questo ce lo insegna Madiba con le sue parole e con le sue azioni: un maestro di giustizia e di non violenza di questo secolo che inizia. La sua autorità morale,maturata in quasi trent’anni di carcere, nasce da una libertà dal potere che lo spinge a rinunciare al suo secondo mandato da presidente delle Repubblica, nonostante tutto il popolo lo richiedesse. Era il potere che era illuminato dall’ autorità e non il contrario: una straordinaria lezione politica,in un tempo di mediocrità come l’attuale.
Ai suoi figli spirituali,a coloro che si rifanno alle sue idee,il compito di operare nella storia concreta e nei giorni amari dei conflitti secondo la forza del perdono e non della vendetta, credendo che l’impossibile è possibile. Pensiamo al Medio oriente o alla zona del Centrafrica. La guerra e le armi hanno mostrato il loro fallimento e allora appare praticabile solo la strada di Madiba. Se falliremo, sarà perché noi ci siamo voltati indietro e siamo stati pietrificati dalla violenza mentre le parole di Madiba ci insegnano che si possono ascoltare le vittime come maestri di pace e allora la verità il perdono e la riconciliazione diventeranno le pietra angolari della casa della pace.