Mancano medici, gli ospedali li “affittano” o richiamano i pensionati

C’è carenza soprattutto di pediatri e di specializzati in medicina di urgenza, ma mancano anche anestesisti, cardiologi, ginecologi.., e la situazione potrebbe peggiorare con i pensionamenti anticipati resi possibili da Quota 100. Le regioni più in difficoltà sono Piemonte, Lombardia, Toscana e Sicilia

Negli ospedali, negli ambulatori dei servizi territoriali e nei centri per la raccolta del sangue mancano i medici. Le richieste più urgenti e diffuse riguardano gli specializzati in medicina d’urgenza e in pediatria, ma scarseggiano anche anestesisti, cardiologi, ginecologi, ortopedici e psichiatri. I medici in servizio in molti ospedali sono sottoposti a turni massacranti e in alcuni casi scompaiono dalle corsie quando scatta l’ora di prestare servizio nei pronto soccorso, nei quali le attese si allungano senza speranza di miglioramento.

Il problema affligge tutta l’Italia tranne il Lazio, che riesce ancora a coprire il proprio fabbisogno, e secondo uno studio dell’Anaao Assomed, il sindacato dei medici e dei dirigenti del Servizio sanitario nazionale, è destinato a peggiorare: per il periodo 2018-2025 è previsto, infatti, un ammanco di circa 16.700 specialisti. Le carenze più elevate si avranno in Piemonte e Lombardia al Nord (2.004 e 1.921, rispettivamente), in Toscana al Centro (1.793 medici), in Puglia, Calabria e Sicilia al Sud (1.686, 1.410 e 2.251).

«Le carenze da noi riscontrate, calcolate sui medici in uscita dal Ssn, sono da considerarsi comunque prudenziali, dovendosi tener conto del fatto che le condizioni di lavoro nel pubblico sono in rapido deterioramento e i recenti vantaggi fiscali favoriscono il lavoro nel privato», spiegano gli autori dello studio, Matteo D’Arienzo, Fabio Ragazzo, Andrea Rossi, Chiara Rivetti, Elena Marcante, Domenico Montemurro e Carlo Palermo, segretario dell’Anaao Assomed. La carenza del personale medico ospedaliero, sottolineano, è già oggi evidente nei concorsi pubblici che vanno deserti, nel ricorso ai cosiddetti “medici a gettone” e nella chiusura di servizi sanitari.

In alcune strutture, come in Piemonte, si sta infatti facendo ricorso ai “medici in affitto”, pagati a caro prezzo per coprire i buchi nelle turnazioni. Altre Regioni, come il Molise e il Veneto, stanno autorizzando i direttori generali delle aziende sanitarie locali ad assumere i medici già in pensione, per garantire i livelli essenziali di assistenza.

Per Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri (FNOMCeO), «non è più il tempo di misure tampone. La soluzione è una sola: mettere ai primi posti dell’agenda politica la sanità. Occorre un finanziamento straordinario, un vero e proprio “Piano Marshall” per sostenere il Servizio sanitario nazionale, finanziando la formazione post lauream, migliorando le condizioni di lavoro del personale sanitario e colmando le disuguaglianze».

I direttori generali di Asl e Ospedali, afferma Anelli, faticano a trovare personale perché sempre meno medici vogliono entrare nelle strutture pubbliche, che rischiano il collasso. Ecco perché il sindacalista chiede «il rinnovo rapido del contratto nazionale, maggiore meritocrazia e maggior rispetto per l’autonomia dei medici, anche attraverso la riduzione dell’influenza della politica nella scelta dei ruoli apicali della professione». Bisogna poi ridurre le disuguaglianze tra le regioni e, in particolare, il divario in termini di strutture, personale, mezzi e ricerca.

Non va meglio per i medici di base: secondo la Fimmg tra 10i anni potrebbero mancare oltre 33 mila dottori. Dal 2022 in poi, la situazione potrebbe peggiorare i maniera evidente, grazie al pensionamento di quasi 4 mila professionisti, soprattutto in Lombardia, Lazio, Sicilia e Campania.

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Per affrontare la carenza di medici, il governo ha stabilito la possibile assunzione di laureati in medicina anche solo iscritti al corso di formazione specifica in medicina generale. Inoltre, il ministro Grillo sta valutando la revisione del numero chiuso di accesso alla Facoltà e una riforma della specializzazione post laurea.

I sindacati, tuttavia, restano preoccupati. «È a rischio – affermano dall’Anaao Assomed – la qualità generale del sistema perché la velocità dei processi in atto non concederà il tempo necessario per il trasferimento di conoscenze dai medici più anziani a quelli con meno esperienza alle spalle. Si tratta, infatti, di competenze cliniche e capacità tecniche che richiedono tempo e un periodo di passaggio di esperienze tra diverse generazioni professionali per essere trasferite correttamente».

Se ne sono resi conto bene i parenti del signor Francesco, arzillo ottantenne, che al controllo specialistico ha confessato di non aver fatto la colonscopia che gli era stata prescritta dal medico 6 mesi prima. «Non si preoccupi– è stata la risposta della specializzanda che sostituiva il medico in un noto ospedale romano –, ha fatto bene. Se non se la sente, non la faccia». Fortunatamente, i figli hanno insistito e hanno portato il genitore dal medico curante, a pagamento. «Deve fare la colonscopia», ha ribadito lo specialista. L’anziano ha finalmente ceduto e nel corso dell’esame è stato scoperto un polipo che è stato fortunatamente rimosso. Ma cosa sarebbe successo se l’esame fosse stato semplicemente accantonato?

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