Mamma quell’uomo ha il pancione!
Un pianto vigoroso ed è nato Francesco, il nostro primogenito. Temevo che l’arrivo di un figlio avrebbe turbato l’equilibrio di coppia ormai raggiunto, ma l’esperienza mi fa usare un altro termine: stravolto, rende meglio. Devo fare i conti con il mio senso di inadeguatezza, nonostante le competenze acquisite con gli studi. Fatto sta che Francesco non è un bambino facile e per ben due anni non dorme una notte intera… In compenso, grazie a quest’esperienza, riesco a capire meglio le neomamme: è la spinta, anche, a specializzarmi nelle attività legate al post-nascita nel consultorio presso cui lavorerò dopo aver lasciato l’attività ospedaliera. La scelta è stata molto combattuta: amo il mio lavoro e la gratificazione che deriva dal seguire un travaglio fino alla nascita del bambino è di gran lunga superiore a quella economica stabilita dall’azienda. Ma non posso più fare i turni, non me la sento di sacrificare la famiglia a continui cambi d’orario, a festività in cui non sarei presente, a reperibilità che non mi permettono programmazioni. Il consultorio in cui eserciterò il ruolo, però, si trova a Busto Arsizio, per cui traslochiamo anche perché la metratura della casa è ormai insufficiente. Sono le tre del pomeriggio del 13 ottobre 2001: do alla luce Edoardo, forte e temerario (almeno così ci ricordano il nome e l’aspetto fisico), ma in realtà molto fragile. Tant’è che a soli 39 giorni dev’essere ricoverato d’urgenza per una broncopolmonite virale. Peniamo otto giorni, offrendo tutta la sospensione a Dio che dona la vita e che la toglie… Anche se con tre anni di differenza, ben presto i due fratelli cominciano ad interagire; le lotte, da maschi degni di questo nome, non si contano, ma in fondo si cercano e sono molto legati l’uno all’altro La terza gravidanza passa nella nostra vita come una meteora: al dolore della perdita si accompagna un senso d’incapacità, d’impotenza… Esattamente a distanza di tre anni da Edoardo, arriva Matilde. Mi sembra di avere le ali ai piedi: una femmina, continuo a ripetermi per convincermene. Matilde è quel tocco di dolcezza che ci voleva: quando la guardo mi rivedo bambina (tra l’altro è quella che più mi somiglia). Ora la famiglia è, come dire, rotonda. Da Roma N. dovrà essere ricoverata all’ospedale di Busto Arsizio per terapie alla tiroide. Viene spontaneo offrirle ospitalità da noi: c’è sempre il divano letto in soggiorno. Andiamo a riceverla alla stazione coi bambini: loro sono abituati ad un certo via vai di persone diverse. Le ospitalità si ripetono, a motivo di certi controlli, e ogni volta in lei c’è lo stupore per un’accoglienza fonte per noi di vera gioia. Quante volte anch’io mi sono sentita a casa, pur essendo ospite di altri. È un’esperienza meravi- gliosa, perché entri un po’ nel mondo dell’altro e, nel contempo, gli lasci qualcosa di te: non potrei fare a meno di questa famiglia che trovo ovunque vado. Già i miei genitori hanno avuto sempre questa grande capacità di accogliere: siamo cinque figli ed ognuno di noi invitava amici a casa per pranzo, cena, o anche per dormire. Senza contare i bambini non loro che hanno accudito per lunghi periodi. Con l’unica entrata del lavoro di papà tutto ciò ha significato sacrifici eppure, anche per il venditore di tappeti che passava c’era un piatto caldo… Insomma, una famiglia-fisarmonica, che si stringe o si allunga a seconda del suono da emettere. Queste esperienze sono la mia ricchezza, che cerco ora di trasmettere ai figli. Tant’è vero che Edoardo, ogni volta che qualcuno viene a trovarci, rivolge la stessa domanda: Adesso mangi con noi? Vieni che ti faccio vedere dove puoi dormire…. La scena è davvero divertente: siamo nel supermercato e Matilde, seduta sul carrello della spesa, ad ogni anziano che adocchia scuote la manina in segno di saluto: Ciao nonno, ciao nonna!, esclama riuscendo a far sorridere anche il nonno più intento a confrontare i prezzi dei prodotti. I bambini sono spontanei, disarmanti. Edoardo una volta, davanti ad un signore di mezza età con una pancia ben evidente, mi fa: Mamma, gli cresce un bambino nel pancione? . Ho cercato di distrarlo, ma lui, determinato come sempre, ha ripetuto la domanda indicando col ditino l’oggetto dei suoi quesiti. Edoardo potrebbe definirsi logorroico come mia madre ora che è malata; ripete le stesse domande a tutti, magari per un pomeriggio intero! È proprio vero: la vita è come un cerchio, parte da un punto e fa il suo percorso per terminare là dove ha iniziato, nuovamente bambini, senza denti, che amano le caramelle, ma con in più la saggezza accumulata con gli anni. A volte mi stupisce la tolleranza di mia madre nei confronti dello schiamazzo dei nipotini o delle loro richieste: è come se si rivedesse bambina o, forse, volesse recuperare con loro la flessibilità che non ha potuto permettersi con i figli… chissà! Da tempo qualcosa non va in Francesco, per le insegnanti un bambino intelligente che non si applica a sufficienza. Già alla fine della prima elementare, dopo aver letto su Città nuova un articolo inerente proprio questo disturbo, ci era venuto un sospetto, confermato col fatto che leggeva al contrario, più velocemente in modo speculare, o col libro capovolto, invertiva lettere, numeri… Le insegnanti non hanno attribuito grande importanza a questi fatti, ma un giorno Francesco è tornato a casa con un paio di pantaloni tutti tagliati: a sentirlo, la colpa era di un compagno, noto come elemento fortemente disturbato e disturbante. Solo più tardi si è indotto a confessare d’essersi causato da solo quei tagli, dopo che i compagni l’avevano preso in giro perché troppo lento a leggere, a scrivere, a capire. Non ci ritrovavamo in quella situazione, conoscendo le sue capacità, oltre ad aver notato una sorta di regressione, quasi si fosse riaccesa una certa gelosia nei confronti dei due fratellini. Così siamo giunti alla conclusione di consultare una logopedista. Il giorno del colloquio con le insegnanti, mi ha accompagnata Filippo: lui rappresenta la parte moderata della famiglia, per cui sentivo la necessità di averlo vicino. Prima, però, ci siamo proposti di essere costruttivi, senza entrare nel giudizio o nella polemica… Nel colloquio, fruttuosissimo, ci siamo detti tutto, con estrema calma e chiarezza. Le insegnanti erano pronte a collaborare ed hanno ammesso di non aver saputo cogliere certi elementi, anche perché Francesco, essendo un bambino brillante, ha saputo ben mascherare questa difficoltà. Oggi Francesco mi ha commossa. Visitando una chiesetta dedicata a san Giuseppe, davanti ad un presepe, gli ho proposto di chiedere qualcosa: pensavo ad una serie di doni che vorrebbe ricevere da Babbo Natale, e invece mi ha guardato serio, dicendo: che guarisca la nonna! Mi ha spiazzata… Quanto tempo è che non prego più per la guarigione di mamma, ormai rassegnata al suo declino, mentre lui, col suo candore, ha osato chiedere una sorta di miracolo. Che mondo quello dei bambini e quanto poco riesco a penetrarlo!