Venezia sommersa dall’acqua “granda”
I veneziani la chiamano “acqua granda”: l’acqua grande, quella eccezionale. Martedì 12 novembre alle 22.50 si è toccato il record, 187 cm: la seconda più alta mai registrata dopo i 194 cm del 1966, anno della terribile alluvione che devastò buona parte della regione. La mattina di mercoledì 13, al momento in cui scriviamo, si sta registrando un nuovo picco di 150 cm dopo il calo della notte.
Il forte vento di scirocco, che ha creato delle vere e proprie onde tra calli e canali, ha reso ancor più pesante la conta dei danni: gondole e barche strappate dagli ormeggi e spinte sulle rive, tre vaporetti affondati, altre imbarcazioni alla deriva. Preoccupazione anche per i monumenti: la Basilica di San Marco è stata invasa da 110 cm d’acqua, e la cripta sommersa. Molti storici e lussuosi hotel sono allagati, con conseguenti danni.
Ironia della sorte, pur in mezzo a tanta acqua si sono verificati anche alcuni incendi a causa delle centraline elettriche danneggiate; e, per lo stesso motivo, un uomo è morto fulminato in casa sua. L’acqua potabile fortunatamente è ancora erogata e le previsioni vedono la marea in assestamento, ma la situazione rimane critica anche su tutto il litorale – dove si sono verificati allagamenti ed esondazioni anche in molti altri comuni: per questo il presidente della regione, Luca Zaia, ha attivato l’Unità di crisi della protezione civile.
Naturalmente, gli eventi hanno rinfocolato le polemiche sul Mose: un’opera travagliata, a cui si lavora da decenni tra ritardi, progetti rivisti, sprechi, arresti, processi – e chi più ne ha più ne metta: in teoria pronto per la quasi totalità, in realtà non ancora in grado di entrare in funzione – il Fatto Quotidiano ha denunciato come il collaudo previsto per lo scorso 4 novembre fosse saltato a causa di “vibrazioni anomale” di alcuni tubi che immettono aria e acqua per consentire l’innalzamento e l’abbassamento dei portelloni. E quindi, dopo appunto decenni ed circa 6 miliardi di euro di soldi pubblici, Venezia si trova ancora allagata. Il Governo ha assicurato che, nel prossimo Consiglio dei Ministri, valuterà le misure da prendere in sostegno del veneziano.
Come dicevamo, anche il resto del Nordest è stato pesantemente colpito; ma anche il Sud Italia non è da meno. Sicilia, Calabria, Puglia e Basilicata sono in stato d’allerta già da inizio settimana. Nella notte del 12 novembre una potente tromba d’aria ha colpito il materano, provocando ingenti danni a edifici e infrastrutture; e hanno fatto il giro del web le immagini dei celebri Sassi di Matera allagati. Anche in provincia di Bari, dove un uomo è morto colpito da un ramo spezzato dalle intemperie, si sono registrati danni analoghi; e il Salento è stato investito da onde alte 5 metri con conseguenti allagamenti. Coldiretti Puglia ha chiesto lo stato di calamità per le zone colpite, dato che le colture – uliveti in particolare – sono pesantemente compromesse. In Sicilia si sono verificati forti disagi soprattutto alla circolazione stradale e ferroviaria, con diversi collegamenti chiusi; e le Eolie sono rimaste – ci si perdoni il gioco di parole – isolate, con tanto di “fiume di pomice” a Lipari franato fino a valle.
Eventi meteo estremi sempre più frequenti, che fanno parte più al largo del cambiamento climatico che si sta registrando? Secondo molti meteorologi, sì. Basta vedere il grafico che riporta l’andamento dell’acqua alta a Venezia: negli ultimi quarant’anni, le maree superiori a 120 cm (l’altezza delle passerelle predisposte dal Comune, e quindi il livello oltre cui non è possibile muoversi all’asciutto in città) sono passate – con una costante ascesa – da 12 a 28 per decennio, e quelle superiori a 140 a una a sei. C’è di che pensare.