Il Mali abbandona il francese come lingua ufficiale

Negli ultimi anni diversi Paesi dell’Africa occidentale si si sono sempre più avvicinati a potenze come Cina, Russia e Turchia, prendendo le distanze dall’ex potenza coloniale, la Francia. In Mali solo le 13 lingue nazionali del Paese riceveranno lo status di lingua ufficiale.
Proteste contro la Francia a Bamako (AP Photo/Harandane Dicko, File)

Con la sua nuova Costituzione, adottata dopo il referendum del 18 giugno in cui ha ottenuto la schiacciante adesione del 96,91 per cento, il Mali ha abbandonato il francese, lingua ufficiale del Paese fin dall’indipendenza dalla Francia, ottenuta nel 1960.

Il francese non è più la lingua ufficiale del Mali: la lingua di Voltaire sarà d’ora in poi una lingua di lavoro. Solo le 13 lingue nazionali del Paese riceveranno lo status di lingua ufficiale. In Mali si parlano circa 70 lingue locali, alcune delle quali, tra cui Bambara, Bobo, Dogon e Minianka, avevano ottenuto lo status di lingua nazionale fin dal 1982.

Sabato 22 luglio scorso il capo della giunta golpista maliana, il colonnello Assimi Goita, ha annunciato che l’attuazione del quadro costituzionale segna l’inizio, nell’ex colonia francese, della Quarta Repubblica. Ha insistito sul fatto che una nuova Costituzione è essenziale per ricostruire il Paese, promettendo di tornare ad un governo civile con le elezioni di febbraio 2024.

Le relazioni tra Parigi e Bamako si sono deteriorate negli ultimi anni, con un “sentimento antifrancese” che secondo Parigi è cresciuto nelle ex colonie in Africa occidentale a seguito di accuse di fallimento militare contro i jihadisti e di interferenze politiche. Alla fine dello scorso anno il governo militare ha ordinato a tutte le Ong, compresi i gruppi di aiuto umanitario finanziati dalla Francia, di cessare le operazioni nel Paese. Questo in risposta alla decisione di Parigi di interrompere gli aiuti allo sviluppo per presunte preoccupazioni sulla cooperazione del Mali con la compagnia militare privata russa Wagner.

Perché l’Africa vuole liberarsi della camicia di forza francese?

La decisione del Mali di abbandonare la lingua francese arriva in un momento in cui le politiche francesi, descritte in Africa come neocoloniali, vengono contestate con slogan e cartelli da molti giovani di tutto il continente. Chiedono un nuovo modello di cooperazione più equo e rispettoso della sovranità delle loro nazioni.

Di recente questa disaffezione sembra essere aumentata, in particolare con l’emergere in Mali, Guinea e Burkina Faso di giovani leader con idee nazionaliste che non esitano a denunciare pubblicamente gli accordi con la Francia.

Romual Ilboudo, analista della sicurezza e di geopolitica, vede questo cambiamento come un “fattore generazionale”. «Gli attuali leader di Burkina Faso, Mali e Guinea non hanno vissuto la colonizzazione o il periodo dell’indipendenza, quindi non hanno pregiudizi. È una generazione che vuole trattare con l’ex colonizzatore su un piano di parità. Poi c’è l’atteggiamento della Francia stessa. Parigi non ha cambiato la sua politica e la sua visione delle ex colonie e non tiene conto del cambiamento generazionale. Nel corso degli anni le frustrazioni sono cresciute. Il rifiuto è il risultato di queste frustrazioni».

Per molti questo cambiamento è un passo verso la sovranità. «Oggi, la relazione che abbiamo con la Francia è imposta dalla storia, non dalle scelte strategiche dei nostri Stati», afferma Boubakar Bokoum, leader del Parti africain pour l’intégration et la souveraineté au Mali.

L’altra grande questione che genera rabbia nella regione è il delicato tema del franco cfa, una moneta ereditata dall’epoca coloniale e attualmente ancora utilizzata in 14 Paesi del continente. Da molti anni in Africa si discute se una moneta africana debba sostituire il franco cfa.

Marc Bonogo, presidente dell’Alliance des nouvelles consciences, un’organizzazione della società civile del Burkina Faso, afferma che «la maggior parte delle persone che guidano questa campagna sono giovani sotto i 30 anni che vivono le conseguenze della disoccupazione giovanile endemica e della povertà persistente. Tutti questi fattori sono legati al franco cfa. In effetti, molti ritengono che questa moneta ereditata dall’era coloniale ostacoli la capacità dei Paesi africani di controllare le proprie economie e di svilupparsi autonomamente. L’indipendenza politica può esserci, ma dal punto di vista finanziario ed economico i Paesi dell’Africa francofona non sono liberi», afferma Bonogo.

Nuovi partner

Negli ultimi anni si è assistito a un crescente avvicinamento dei Paesi africani ad altre potenze come Cina, Russia e Turchia.

Per alcuni, questo accostamento è il risultato di una serie di fattori, tra cui la ricerca di nuove opportunità economiche, il desiderio di diversificare le relazioni internazionali e di stabilire partnership con nazioni di altri continenti. Per altri, invece, riflette soprattutto l’emergere di un “sentimento antifrancese” nel continente. Marc Bonogo non è d’accordo e afferma che «non c’è alcun sentimento antifrancese in Africa. Quella che condanniamo è la politica francese in Africa. La gente si è resa conto che nella cooperazione della Francia con le nazioni africane è solo la Francia che ci guadagna, mentre l’Africa resta a mani vuote, ed è per questo che i giovani africani hanno intrapreso un processo di emancipazione politica, economica, sociale e culturale».

Romual Ilboudo sottolinea inoltre l’alto livello di ospitalità dell’Africa, e dell’Africa occidentale in particolare. «I francesi in Africa occidentale sono ben integrati… Tuttavia, devono mostrare considerazione per chi li ospita. E finché c’è rispetto reciproco, saranno sempre i benvenuti».

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