Zambia: negli occhi dei bambini c’è la luce dell’arcobaleno

Ingresso nello Zambia, terzo Paese del pellegrinaggio di carità AlimentiAMO la speranza. Nonostante le condizioni di totale miseria negli occhi della gente non c'è sopravvivenza ma vita, in tutta la sua gioia: soprattutto nei bambini
Malawi
Leandro Bracco circondato dai bambini nello Zambia, una delle tappe del suo pellegrinaggio in Africa (Foto: Leandro Bracco)

Con un’altra soglia psicologica a lungo desiderata e finalmente arrivata (quella dei 1500 chilometri percorsi), due giorni fa ho fatto ingresso nel terzo Paese del pellegrinaggio: lo Zambia. Le oltre 60 tappe finora affrontate e superate hanno inciso dentro me un concetto ben specifico ma soprattutto incancellabile: fra povertà e miseria c’è l’abisso. E nella moltitudine pressoché sterminata di villaggi nei quali mi sono imbattuto prima in Tanzania e poi in Malawi, a dominare in maniera incontrastata è stata senza dubbio, purtroppo, proprio la miseria. Inesistenza totale del benché minimo concetto di igiene e persone che nella stragrande maggioranza dei casi non indossano vestiti bensì stracci.

E di questa stragrande maggioranza di persone, la parte più cospicua è rappresentata dai bambini. Un esercito infinito di innocenti la cui esistenza è sostanzialmente segnata da un futuro che li vedrà vivere nei villaggi dove sono nati. Sine die. Il modo nel quale questi bimbi portano avanti la loro vita induce alla riflessione. Una riflessione che sconquassa l’anima, edifica, innalza ma che soprattutto è florida di insegnamenti. Di bambini ne ho visti a centinaia. Moltissimi dei loro sguardi emanavano una luce per descrivere la quale non esistono aggettivi. L’unico metro di paragone può essere rappresentato, forse, dall’arcobaleno. Fermandomi a dialogare con loro e dunque osservandoli da vicino, è stato come se i sette colori dell’iride parlassero.

Per rendere questi bambini non felici ma felicissimi è bastato rimanere con loro pochi attimi, porgere la mano, accarezzarli sul viso oppure sui capelli. Non mi hanno chiesto nulla di materiale ma semplicemente di dedicare loro qualche attimo del mio tempo. Grazie a queste Meraviglie (la m maiuscola non l’ho scritta a caso), mi sono reso conto, per la millesima volta, di quanto noi occidentali siamo fortunatissimi nell’essere nati in una nazione che non fosse in Africa. Una fortuna che però diamo per scontata. Come fosse una cosa dovuta. E di conseguenza ne sminuiamo la rilevanza. Le questioni per le quali in moltissime occasioni ci facciamo prendere dalla paranoia, nulla sono a confronto dei problemi che ogni giorno tormentano milioni di persone africane, tantissime delle quali bimbi. Questi innocenti, pur non avendo nulla di materiale, possiedono comunque una gioia di vivere eccezionale. Talmente eccezionale che in un ipotetico manuale della positività, la loro felicità sarebbe stampata in prima pagina a caratteri cubitali. Non hanno nulla ma in realtà hanno quasi tutto. Noi, che abbiamo non tutto ma troppo, in moltissime circostanze ci facciamo assalire dal mal di vivere. Colpa del consumismo sfrenato, del materialismo e del non sapersi quasi mai accontentare? Senza dubbio alcuno sì.

In definitiva dunque da questi innocenti c’è un’unica cosa da fare: guardarli negli occhi per imparare. In diverse circostanze mi sono chiesto se, al di là della carità religiosa e della filantropia già di per sé importantissime, possa esistere un’altra motivazione per la quale intraprendere un pellegrinaggio in solitaria a piedi per attraversare sette Paesi africani e macinare oltre 5 mila chilometri. La risposta l’ho trovata ed è racchiusa negli occhi di uno qualunque dei mille bambini africani il cui sguardo ho incrociato in questi tre mesi di Africa. Uno sguardo innocente, limpido, cristallino ma che soprattutto veicola gratuitamente una quantità incommensurabile di amore. Uno sguardo dal valore inestimabile. Una cosa della quale nelle nostre metropoli frenetiche e vacue abbiamo dimenticato l’esistenza.

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