Malati curati per terra, di chi è la colpa?
Una foto su Facebook ripresa dai quotidiani mostra due persone distese per terra. Una, su un lenzuolo, è assistita da un operatore. L’altra, sul nudo pavimento, è sdraiata di lato. Per terra. In posizione antivomito, spiegheranno poi gli esperti. Ma sempre per terra. No, non siamo in un ospedale da campo in una zona di guerra. Siamo invece a Nola, comune del napoletano che qualche anno fa si voleva trasformare in Provincia. Qui sorge l’ospedale Santa Maria della Pietà, una struttura vecchia e fatiscente, spesso sporca, che dovrebbe – secondo il governo che predispose la riorganizzazione delle strutture ospedaliere – soddisfare i bisogni di una popolazione di oltre 550mila persone. Un ospedale con poco più di 100 posti letto effettivi (oltre naturalmente alle barelle e al pavimento!) che, sulla carta, dovrebbe in futuro accoglierne 187, ma per i quali – tuttavia – si sottolineava nel 2015 sul sito stesso della struttura – «al momento non esiste capienza». Un ospedale che i Nas, inviati in tutta fretta dal ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, conoscono molto bene, visto che già in passato hanno eseguito blitz e chiuso reparti.
Ebbene, a causa della foto apparsa sui social e ripresa dai quotidiani, politici e rappresentanti istituzionali si sono fortemente indignati. Verrebbe da dire: finalmente! Eppure, gli addetti ai lavori e i cittadini conoscono bene le deficienze di questa struttura, le difficoltà del pronto soccorso, l’assenza di posti letto e di barelle in numero sufficiente a soddisfare le esigenze dei malati. Persone, ricordiamo, che vivono in una parte della cosiddetta Terra dei fuochi, dove c’è un’impennata di patologie tumorali, dove i medici di famiglia – forzati dalle Asl a riduzioni drastiche delle prescrizioni – sono costretti a limitare le visite specialistiche ai malati cronici perché affetti da patologie troppo costose, e arrivano ad obbligare i malati sottoposti a chemioterapie, che spesso stentano a reggersi in piedi, a fare la fila per ore negli studi medici una o più volte alla settimana per avere la prescrizione dei medicinali di cui hanno bisogno. Un contesto in cui l’assistenza domiciliare è una sorta di miraggio e il pronto soccorso è spesso l’ultima speranza di chi sta male, anche se l’emergenza barelle è talmente strutturata da non poter essere più definita una urgenza.
In questo contesto, fa dunque sorridere amaramente chi invia gli ispettori, dimenticando le responsabilità delle istituzioni, come il ministro Lorenzin; la stessa attribuì l’impennata di tumori nella Terra dei fuochi ad un problema di “stili di vita” sbagliati. Oppure come il presidente della Regione Campania, De Luca, che forse ignora che, nella sua regione, in autunno, quando i fondi finiscono, l’assistenza sanitaria garantita dalla legge non viene più assicurata e, anche gli invalidi, esenti al 100%, devono pagare esami e prestazioni.
Ma per la vergogna di quelle foto diventate virali servivano dei colpevoli, ed ecco dunque che sono stati sospesi i tre dirigenti dell’ospedale nolano, che ora rischiano il licenziamento. A nulla è valso loro, finora, dire che al pronto soccorso erano arrivati, quel giorno, oltre 200 persone, che per l’emergenza neve l’ospedale di Avellino era irraggiungibile, che c’era il picco dell’influenza e la psicosi meningite, che l’organico era troppo ridotto, che non volevano respingere i malati che non sapevano dove andare. All’assistenza sul pavimento, effettivamente, non ci sono giustificazioni. Ma quale alternativa hanno avuto i malati? Quale i medici, che pure avevano segnalato lo stato di emergenza? Quali – e quante – responsabilità hanno i politici e le istituzioni, che oggi puntano il dito indignati, rifacendosi ad una sanità efficiente ed efficace che da queste parti è strutturalmente inesistente? L’indignazione non serve, servono i fatti e un servizio sanitario finalmente decente.
Gli stessi che chiede il vescovo di Nola, padre Beniamino Depalma, che – dopo aver visitato l’ospedale – ha scritto in una nota: «Sono vescovo qui da 17 anni e da 17 anni la politica fa le stesse promesse: reparti nuovi, personale, barelle. Poco o pochissimo è stato realizzato. Sono state necessarie immagini pubblicate sui social network per risvegliare le coscienze della politica nazionale e regionale. Tuttavia, non intendo partecipare al triste gioco della criminalizzazione dei medici di questa struttura di Pronto soccorso. Li ho visti salvare troppe vite umane per arrivare alla conclusione che sia loro la colpa delle scene che abbiamo visto».
«Le colpe – sottolinea il vescovo – partono dai vertici delle istituzioni e del sistema sanitario, che non vedono le enormi difficoltà dell’ospedale di Nola nel rispondere con pochi mezzi a una platea di circa 500mila cittadini. La politica non agisca, a danno avvenuto, con soluzioni buone solo a strappare un titolo di giornale. Lavorino insieme, amministratori pubblici, manager e medici per risolvere in modo strutturale problemi che vengono rinviati sulla pelle dei cittadini e dei malati».