Malasanità in Sicilia. Cosa ci dice il caso della piccola Nicole
La morte della piccola Nicole Di Pietro, la piccola nata il 12 febbraio con gravi problemi respiratori, e morta tre ore dopo, mentre in ambulanza si cercava di raggiungere l’ospedale di Ragusa, dove era stato trovato un posto di terapia intensiva, fa discutere. E soprattutto ha smosso le coscienze. Ha messo il dito sulla piaga. Il sistema sanitario siciliano ha delle falle. Il sistema non funziona come dovrebbe. La morte della piccola Nicole è stata la punta di un iceberg, ma accade spesso che non si riesca a trovare posto per dei malati gravi e che si faccia fatica a sopperire all’emergenza, magari costringendo i pazienti a trasferimenti per decine e centinaia di chilometri. I tagli operati negli ultimi anni, tesi a contenere i costi, troppo alti, del sistema sanitario regionale, hanno lasciato il segno. Forse hanno colpito più nel settore dei servizi e dei posti letto, piuttosto che tra le spese superflue che potrebbero essere ulteriormente limate. Talvolta si è rimasti succubi delle politiche localistiche, che mirano a salvare i piccoli ospedali, alzando i costi e non distribuendo le risorse laddove sono effettivamente necessarie.
Nicole Di Pietro è morta. L’autopsia, eseguita ieri a Catania, dovrà dire se poteva essere salvata, oppure no. I risultati si conosceranno tra 60 giorni. La Procura è convinta che l’emergenza che si è verificata dopo la nascita di Nicole non è stata trattata con l’adeguatezza dovuta. E sta accertando dove si siano verificate le falle. Nel registro degli indagati ci sono nove nomi: alcuni medici della clinica Gibiino, un operatore ed il dirigente del servizio 118 per il bacino di Catania, due medici di ospedali pubblici di terapia intensiva neonatale. Per tutti, bisognerà accertare se e in che misura hanno delle responsabilità.
Gli interrogativi sono tanti: alcuni riguardano il singolo episodio, altri l’intero assetto sanitario isolano. Ci si chiede perché, per Nicole, sia stato chiesto, tramite il 118, un posto di terapia intensiva e non di rianimazione. Sarebbe cambiato qualcosa? Eppure, l’operatore continuava a ripetere che era un caso urgente! Vi sono poi le scelte legate alla funzionalità dei “punti-parto” che dovrebbero esistere solo in un ospedale o in una clinica attrezzata per la rianimazione neonatale. Tanti reparti, in Sicilia, sono stati chiusi o accorpati, ma non dappertutto è stato così. Forse servirebbe maggiore rigore soprattutto per le strutture private! E molte convenzioni potrebbero essere da rivedere.
Quattro ospedali catanesi hanno rifiutato il ricovero di Nicole perché non avevano posti letto. Uno tra questi, l’ospedale Santo Bambino, dovrebbe essere deputato proprio al trattamento dei neonati. Ma ha solo quattro posti letto di Rianimazione! La legge pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 5 gennaio 2012 disciplina cosa bisognerebbe fare in casi di emergenza. Ma ha dei buchi nella fase applicativa. L’errore umano, forse, è possibile. Gli ispettori inviati dal ministero della Salute hanno verificato che l’ospedale di Messina era più vicino di quello di Ragusa. Poteva far risparmiare una manciata di minuti. Che forse non sarebbero serviti! Ma forse, prima che le responsabilità della singola scelta, del singolo atto medico o gestionale, bisognerà verificare come e perché l’intero sistema della sanità siciliana è ancorato a logiche che spesso fanno a pugni con la funzionalità e l’efficienza. Eppure sono in gioco delle vite umane. Ottime strutture mediche, ottimi professionisti, potrebbero operare in un sistema più ordinato, più compiuto, più funzionale, dove le scelte non vengono affidate ad uno solo, ma dove un sistema ben organizzato e funzionale governi e guidi le scelte da fare. Soprattutto quelle legate all’emergenza. Con protocolli definiti e chiari, cui nessuno può e deve sottrarsi. Ovviamente, per poter chiedere alle strutture ed alle persone di fare le scelte giuste, bisognerà verificare che abbiano tutti i mezzi a disposizione. Ad esempio, i posti letto. E molto altro ancora.