Màkari e il commissario Ricciardi eredi di Montalbano

Dopo quella che è stata definita l'ultima puntata del commissario Montalbano, è cominciata una nuova serie televisiva, Màkari, con Claudio Gioè. Tra gli investigatori amati dal pubblico c'è anche il commissario Ricciardi, interpretato da Lino Guanciale.

Morto un Montalbano se ne fa un altro. Forse. Sempre che si riesca. Perché la penna di Andrea Camilleri non la raccogli facilmente per la strada, e perché delle atmosfere costruite con gli anni dal regista Alberto Sironi – fatte di scorci suggestivi, di una stagione spesso calda ma mai affollata, di una Sicilia profumata, ventilata, intima, a volte poetica, di pietra splendente, antica e magica, come le perle di Ragusa, Ibla e Noto, dello smeraldo marino attraversato a bracciate lente da Salvo -, non si può certo fare copia e incolla.

Bisogna trovare per forza delle alternative a quel barocco di isola sud orientale che a milioni di telespettatori ha fatto venir voglia di partire, di andare lì e abbandonarsi a tanta bellezza. Ma ecco, prontamente, subito dopo i titoli di coda de Il metodo Catalanotti – andato in onda con successo l’8 marzo scorso – senza attendere un istante, un primo, coraggioso candidato presentarsi al provino.

Nemmeno una settimana dopo quello che potrebbe essere, il condizionale ci sta perchè l’ultimo romanzo di Andrea Camilleri, Riccardino, riposa ancora in un cassetto (e chissà che alla fine, nonostante le dichiarazioni di Peppino Mazzotta: “Montalbano finisce qui”, non prevalga la voglia di prolungare questo lungo e difficile addio), ecco bussare alla porta degli orfani del commissario, una serie dal titolo Màkari, in interessante assonanza con la fiction dell’acuto poliziotto amante delle arancine.

La prima, evidentissima, è una Sicilia sullo sfondo che luminosa è dire poco, che architettonicamente non sarà al livello di Montalbano, ma naturalisticamente sì, anzi, da quel punto di vista è persino migliore. È la costa tra Trapani e Palermo: dalle parti della riserva dello Zingaro, di Scopello, di San Vito Lo Capo. Del golfo di Macari, appunto, da cui prende il titolo questa nuova fiction in quattro puntate diretta da Michele Soavi, il cui primo e secondo episodio sono andati in onda il 15 e 16 marzo scorsi, con ripetuti affacci su un mare azzurro, verde, turchese, limpido e magnifico da lasciare tutto per andarcisi a tuffare dentro, potendo. E pure la casa del protagonista, una villa incastonata sulla scogliera, affacciata silenziosa sul mare, se uno dovesse cambiarla con la terrazza del solitario personaggio di Camilleri, beh, non farebbe un affare.

“Montalbano” 14ª Serie, foto di Fabrizio Di Giulio

E chisseneimporta se è poco ordinata e parecchio trascurata, se i rubinetti perdono e se il giardino andrebbe sistemato. Sono invece somiglianti alla serie con Luca Zingaretti, sono le faccende brutte, gli errori degli umani e le durezze, le ingiustizie della vita che entrano a gamba tesa nella bellezza dei luoghi e nella vita del protagonista. Che non è un poliziotto, attenzione, ma un giornalista, anche se le indagini le fa lo stesso e pure bene. Si chiama Saverio Lamanna e una volta scrisse pure un romanzo, pare bello.

Nasce dalla penna di Gaetano Savatteri e lo interpreta (piuttosto bene) Claudio Gioè: è originario della terra raccontata, che però lasció per avventure umane e professionali, andando a un certo punto a finire nel calderone della politica diventando il portavoce di un ministro. Lo incontriamo su un traghetto solitario, Saverio Lamanna, che per un errore commesso, un messaggio consegnato al contrario, un sms sbagliato, ha perso il posto e viaggia malinconico verso le sue origini, senza saper bene da dove ripartire.

Però una giovane e bella cameriera stagionale, Souleima, laureanda in architettura a Firenze, gli fa riscoprire subito l’amore e forse una vita più autentica e vera, producendo in lui un embrionale, piacevole, orizzontalmente spalmato nelle puntate – romanzo di riformazione. C’è poi Piccionello, l’amico di sempre ritrovato, che alquanto tenero e imbranato ricorda un pochettino l’agente Catarella, e soprattutto, dietro tutta l’operazione, c’è la Palomar di Carlo Degli Esposti: la storica casa di produzione del Commissario Montalbano. E tra gli sceneggiatori figura pure Francesco Bruni, penna storica delle storie di Vigata.

Lino Guanciale in una foto di scena de “Il Commissario Ricciardi” una coproduzione RAI FICTION / CLEMART

Tutto facile, allora? Makari unico erede? Faccenda archiviata? No, perchè l’affetto del pubblico dovrà guadagnarselo a colpi di storie ben scritte e ben girate, con raffinatezze e automatismi che ancora vanno perfezionati se si ambisce all’eredità, e perchè la concorrenza può venire anche da altre città e altre epoche, per esempio dalla Napoli anni ’30 del commissario Ricciardi – interpretato da Lino Guanciale – che intanto di mestiere fa l’investigatore, come Montalbano, e come lui è piuttosto solitario, affascinante e molto acuto. Il paesaggio, lo sfondo architettonico, di questa serie andata in onda con successo su Rai1 ancora prima dell’ultimo Montalbano, è molto lavorato, finemente ricostruito, soprattutto negli interni, così come le storie – tratte dalla penna di Maurizio de Giovanni – sanno farsi pregne di atmosfere. E allora, la sfida è ancora lunga, nonchè piacevole da osservare. Con noi, meri e attenti telespettatori, pronti ad acclamare e applaudire il vincitore. Sempre che Riccardino non ci costringa a rimandare il verdetto.

 

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