Mai più patiboli

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Signor presidente, tutti noi siamo di fronte alla Storia. Io sono un uomo di pace, di idee. Provo sgomento per la vergognosa povertà dal mio popolo che vive su una terra molto generosa di risorse; provo rabbia per la devastazione di questa terra; provo fretta di ottenere che il mio popolo riconquisti il suo diritto alla vita e a una vita decente. Così ho dedicato tutte le mie risorse materiali ed intellettuali a una causa nella quale credo totalmente, sulla quale non posso essere zittito. Non ho dubbi sul fatto che, alla fine, la mia causa vincerà e non importa quanti processi, quante tribolazioni io e coloro che credono con me in questa causa potremo incontrare nel corso del nostro cammino. Né la prigione né la morte potranno impedire la nostra vittoria finale…. Questo brano del novembre 1995 fa parte dell’autodifesa di Ken Saro-Wiwe, lo scrittore nigeriano colpevole solo di aver sostenuto i diritti del suo popolo, gli ogoni: etnia dedita all’agricoltura, pesca e caccia prima che il suo territorio a sud del delta del Niger venisse devastato dallo sfruttamento petrolifero della Shell e di altre multinazionali. Nonostante le pressioni internazionali, egli venne condannato a morte per impiccagione dall’allora regime militare di Lagos, assieme ad altri otto membri del suo movimento non violento. Ken Saro-Wiwe, un uomo libero, lontano da qualunque ideologia, un uomo di pace. Qualcuno lo ha accostato a Socrate, altra grande vittima dell’ottusità dei suoi contemporanei. Un salto indietro nel tempo, stavolta nel 1854: Commutare una pena, lasciare al colpevole la possibilità del rimorso e della riconciliazione, sostituire al sacrificio umano l’espiazione intelligente, non uccidere un uomo, tutto questo è proprio così difficile? La nave è talmente in pericolo che un uomo può essere di troppo? Un criminale pentito pesa proprio così tanto alla società da doversi affrettare a gettare fuori bordo nel buio degli abissi questa creatura di Dio? (…) La pena di morte oggi sta arretrando dovunque e perde terreno ogni giorno; se ne va di fronte ai sentimenti umanitari. (…) Indipendentemente dal grande delitto contro l’inviolabilità della vita umana commesso sia sul brigante giustiziato che sull’eroe sottoposto a supplizio, tutti i patiboli hanno commesso dei crimini. Il codice che prevede la pena di morte è uno scellerato mascherato con la tua maschera, o giustizia. È un brano tratto da Il caso Tapner, appassionata difesa che Victor Hugo fece di un assassino nell’isola di Guernesey, dove lo scrit- tore era stato esiliato; e al tempo stesso condanna senza appello della pena di morte. Purtroppo, a nulla valse l’intervento dell’autore dei Miserabili: il colpevole venne giustiziato mediante impiccagione. Tra questi due testi sono trascorsi oltre 140 anni. Perché metterli a confronto, e cos’hanno in comune due autori di culture ed epoche così diverse? Intanto, l’avere entrambi pagato per aver difeso le loro idee: il primo con l’esilio ventennale in uno sperduto arcipelago della Manica, e il secondo con la morte. La loro lezione morale è di lancinante attualità, come risulta da Sozaboy e Il caso Tapner, ora tradotti per la prima volta in Italia. KEN SARO-WIWE (1942-1995) Drammaturgo, scrittore, collaboratore di programmi radiofonici e televisivi, era molto popolare in Nigeria. Tenace difensore dei diritti umani, si è battuto contro i disastri ecologici causati dalle compagnie petrolifere sul delta del Niger. Ancora oggi il movimento in difesa dei diritti del suo popolo a cui lo scrittore ha dato vita continua la sua lotta di resistenza. Opere pubblicate in Italia: Foresta di fiori (Edizioni Socrates, 2004, pp. 170, euro 10,00): brevi storie i cui personaggi devono spesso fare i conti con privazioni, corruzione e violenza, senza mai rinunciare però alle aspirazioni ad un’esistenza migliore. Sozaboy (Baldini Castoldi Dalai, 2005, pp. 286, euro 14,00). Ritenuto il suo capolavoro, venne pubblicato dieci anni prima della morte dell’Autore, avvenuta a Port Harcourt, ma soltanto adesso lo si legge in edizione italiana per la difficoltà di una lingua intraducibile, amalgama di pidgin, espressioni colte e idiomatiche. Protagonista di questo romanzo-denuncia sull’orrore e l’assurdità della guerra è un ragazzo i cui sogni tramontano bruscamente quando è costretto ad arruolarsi nell’esercito per lo scoppio della guerra del Biafra. VICTOR HUGO (1802-1885) Dal 1841 accademico e pari di Francia e deputato all’Assemblea costituente nel 1848, per la sua opposizione al regime di Napoleone III fu costretto all’esilio prima in Belgio, e successivamente nelle isole di Jersey e Guernesey, fino al crollo del Terzo Impero, quando poté fare ritorno a Parigi, accolto come un padre della Francia. Poeta e romanziere considerato il massimo esponente della scuola romantica francese, ha scritto capolavori come Nostra Signora di Parigi, I miserabili, I lavoratori del mare, L’uomo che ride, Il Novantatré. Il caso Tapner (Medusa, 2005, pp. 94, euro 10,00) raccoglie tre testi relativi alla condanna ed esecuzione di un certo John-Charles Tapner, colpevole di efferati delitti. Nel primo lo scrittore si rivolge agli isolani di Guernesey per chiedere loro clemenza, mettendo in luce la barbarie della pena di morte. Nel secondo invia a Lord Palmerston, il ministro dell’Interno inglese, una lunga lettera di protesta per i modi raccapriccianti in cui si è svolta l’esecuzione. Segue, ad un anno di distanza da essa, un resoconto toccante della vicenda Tapner, che diventa anche uno straordinario atto d’accusa della logica del dente per dente.

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