Mai più lacrime alla nascita di un figlio

L’esperienza di “Vita 21 Enna”, associazione nata nel piccolo capoluogo di provincia del centro Sicilia, che può diventare un modello per i genitori di bambini con la sindrome di Down. «I nostri figli hanno capovolto punti di vista e rotto gli equilibri del buonismo, guidandoci alla scoperta della bellezza»
foto di Samuele Santuzzo

Esiste un netta, gravissima mancanza di coerenza, mettiamola così, fra i primi momenti della venuta al mondo di un bambino che ha la sindrome di Down e il successivo procedere della vita della famiglia che lo ha accolto.

«Quando ho visto i medici, dopo la nascita di Federica, avvicinarsi senza mai arrivarmi accanto o iniziare discorsi balbettati senza riuscire per un attimo a guardarmi negli occhi, quando qualcuno di loro ha provato a parlarmi senza mai arrivare a concludere un discorso di senso compiuto, ben presto nella mia mente si faceva strada, fra le mie lacrime, l’idea che ero diventata madre non di una creatura ma di un errore. Questo è stato il mio incontro con la diagnosi di Sindrome di Down della mia bambina, 6 anni fa». A parlare così è Alessandra, adesso madre di due figli. Continua il marito Carmelo: «Ma la nascita di una creatura non dovrebbe essere celebrata e festeggiata? Nasce una vita, non una condizione genetica».

L’esperienza di Alessandra e Carmelo non è un caso isolato, né in Sicilia, né, a quanto pare, in Italia. Ed è l’esperienza comune delle famiglie di Vita 21 Enna, associazione nata nel piccolo capoluogo di provincia del centro Sicilia.

Con tenacia e amore per la vita, che le loro creature dal “cromosoma in più” hanno amplificato di giorno in giorno, questo manipolo di genitori ha raggiunto uno dei loro obiettivi: il 4 maggio hanno inaugurato il “Punto di ascolto e orientamento” per le famiglie che ricevano diagnosi pre o post natale di sindrome di Down, nel reparto di Ostetricia del loro ospedale, grazie al fondamentale appoggio del primario, dottor La Ferrera.

Le famiglie e le figure professionali dell’associazione, opereranno, attraverso il “Punto di ascolto”, in due direzioni: essere accanto a chi si incontra con la diagnosi di Trisomia 21 e condurre un programma di formazione, accreditato secondo il programma “Educazione continua in Medicina”, rivolto a medici ed infermieri, sulla corretta comunicazione della diagnosi ai neogenitori. È un atto di amore e di civiltà che deve raggiungere anche il personale sanitario, troppo spesso impreparato, e non per cattiva volontà, a comunicare la nascita di una vita che porta con sé i caratteri della diversità rispetto alle presunte normalità, del “cambiamento di rotta” con un atterraggio in una destinazione non prevista, ma che vita è, eccome.

Questo perché vogliono avere la possibilità di narrare a tutti, con consapevolezza e senza enfasi, che da quando sono arrivati “loro”, la qualità della vita è migliorata. Valeria, un’altra mamma racconta così la sua esperienza: «I nostri figli hanno capovolto punti di vista, ritenuti prima normali, rompendo gli equilibri del buonismo e guidandoci alla scoperta della “Bellezza” sfrondata da ogni stereotipo. Sono dei catalizzatori di relazioni autentiche e ci portano a dare il meglio di noi stessi».

Tutto questo e molto di più è quanto osservo ogni volta che incontro una di queste famiglie, non definibili speciali ma assolutamente normali, come normale è una famiglia che vive la sua vita con pienezza, gioendo di meravigliose mete raggiunte a volte con fatica. Come è normale che sia, per tutti.

Ed è bastato comunicare sui social l’inaugurazione del “Punto di ascolto” per ricevere da tutta Italia richieste di informazioni per poter fare altrettanto in altri ospedali. Che sia nato un modello da condividere?

 

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