Mai più guerre!
«Mai più in questa terra! Mai più in nessuna parte del mondo!». È il grido di pace che cristiani, ebrei, musulmani ed esponenti delle fedi religiose nel mondo hanno lanciato da Sarajevo al termine dell’Incontro internazionale delle religioni per la pace. L’appello è stato letto dal palco della piazza Dom Armije, nel cuore della città vecchia di Sarajevo, dove gli esponenti delle Chiese cristiane e i seguaci delle altre religioni sono confluiti dopo aver pregato nella cattedrale cattolica, in moschea, in sinagoga.
Per la prima volta cattolici, ortodossi, musulmani ed ebrei sono riusciti a guardarsi negli occhi, dopo un passato carico di sofferenze che ha profondamente diviso queste comunità. Ripulire la memoria della storia e rendere giustizia ai fatti è un processo difficile, complesso, forse addirittura impossibile. Camminando per le strade di Sarajevo, è facile imbattersi in una serie di domande che non trovano risposta: quanto possono pesare nei cuori di queste persone, i lutti, le distruzioni, la perdita di tutto? Come dimenticare il volto di un “nemico” che ti ha fatto del male? Il popolo di Sarajevo ha oggi davanti a sé una scommessa: decidere di riscrivere pagine nuove per guardare al futuro. Una strada possibile, per lo meno inevitabile. «E – scrivono i leader religiosi nell’appello – se è possibile a Sarajevo, allora è possibile ovunque».
Ha ragione l’arcivescovo cattolico, il cardinale Vinko Puljic, lui che ha condiviso con questo popolo gli anni bui della guerra, ad invocare l’aiuto di Dio: «Che la nostra invocazione concorde – ha detto durante la veglia ecumenica – dissipi le tenebre della violenza e apra i cieli alla speranza».
Sul palco montato nella piazza di Dom Armije, ha preso la parola anche l’anziano cardinale Roger Etchegaray. Era l’inviato speciale di Giovanni Paolo II per le missioni più delicate. A lui papa Wojtyla affidava i suoi appelli di pace per portarli nel mondo. Ed ora, qui a Sarajevo, è stato il cardinale a invocare il dono della riconciliazione: «Sarajevo – ha detto – che ho attraversato una volta, scendendo dal monte Igman, percorrendo il tunnel lungo 800 metri e largo un metro e mezzo, sotto l’aeroporto, per renderti visita in nome di Giovanni Paolo II, nel pieno del blocco della città. E pregare con te un venerdì nella moschea, un sabato nella sinagoga, una domenica nella cattedrale ortodossa, poi nella cattedrale cattolica. Sarajevo, io ti dico oggi: Coraggio! Coraggio! Impara di nuovo a vivere insieme».
Ma il messaggio di riconciliazione non vale solo per questa città. L’Europa – è stato detto più volte qui a Sarajevo in questi giorni – è attraversata come non mai, in questo periodo di crisi e recessione, dalla tentazione di scivolare nella spirale dell’odio, nella logica dello scontro. Facile incolpare gli altri per la situazione di difficoltà in cui sono caduti alcuni Paesi europei. È allora l’Europa ad avere bisogno con urgenza di una nuova cultura del dialogo, di ripuntare, come fu alla sua origine, su ciò che la unisce e non su ciò che la divide. La novità dell’edizione di quest’anno sta forse nella capacità della Comunitò di Sant’Egidio di aver coinvolto i responsabili di istituzioni e governi e di aver dato sostanza e vigore al messaggio di pace che sorge dalle religioni e arriva ai cuori degli uomini. «Perché – come ha detto Andrea Riccardi – torni nel mondo lo spirito di Assisi e non cessi di insegnare ai popoli a “vivere insieme"».