Magiari sognatori di sogni grandi
Fino a pochi anni fa la zona della storica fabbrica Ganz era una delle più degradate e tristi di Budapest, per di più occupava un enorme terreno nel pieno centro della città. Dopo che la fabbrica si è definitivamente trasferita, si è pensato di utilizzare questo terreno nel modo più intelligente possibile. Quasi tutti gli edifici sono stati demoliti, ad eccezione di alcuni, veri e propri monumenti d’archeologia industriale. Questi sono stati restaurati e adattati alla loro nuova funzione, realizzando in questo modo un enorme parco verde le cui diverse parti richiamano i paesaggi delle regioni ungheresi. Insoliti, ma senz’altro originali, il piccolo vigneto, il campo di grano oppure gli alberi di melo al posto delle consuete piante puramente decorative. Il Parco del Millenario di Budapest è diventato presto il simbolo della ripresa nazionale dopo il crollo del sistema comunista. Sono state costruite anche due nuove strutture, un teatro e un edificio per mostre ed esposizioni. Proprio in quest’ultimo è stata inaugurata nel 2001 una mostra intitolata Sognatori di sogni – Ungheresi di fama mondiale, che presenta i personaggi, le invenzioni, le opere ungheresi più importanti nei campi della scienza, industria, tecnica, arte e della cultura. Tra i temi trattati troviamo i numerosi premi Nobel ungheresi; l’invenzione di Jòzsef Birò: la penna a sfera; il modello T della Ford progettato da Jòzsef Galamb; il pianoforte di Ferenc Liszt; il fiammifero inventato da János Irinyi e il cubo magico di Ernö Rubik. Romano Prodi, presidente della Commissione europea, in occasione del lancio della campagna di adesione in Ungheria e della consegna delle bandiere dell’Ue, ha sottolineato proprio questa caratteristica dello spirito ungherese: Noi europei siamo una sola famiglia. E sappiamo bene come sono le famiglie: ci assomigliamo un po’ tutti, ma ciascuno ha caratteristiche uniche. Ciascuno di noi ha la sua propria identità e la sua storia. Ed è proprio questa diversità la nostra grande forza. Grazie a voi, l’Unione diventerà più ricca sul piano intellettuale e culturale. E penso ai vostri grandi compositori, agli artisti e ai 16 premi Nobel ungheresi. Ci porterete i vostri architetti e gli stilisti di moda, che daranno un impulso alla creatività europea e ne miglioreranno l’immagine all’estero. Ci porterete la vostra economia della conoscenza che, secondo una recente classifica del Financial Times, supera quella di Francia e Germania. Le vostre università e i vostri centri di ricerca si confronteranno e collaboreranno con gli istituti di tutta l’Unione. E grazie a essi, l’Europa farà un altro passo verso gli obiettivi di Lisbona per diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva del mondo entro il 2010. L’Ungheria farà la differenza per l’Europa in tutti i campi: culturale, economico e politico. Un dono che gli ungheresi possono portare con sé nell’Unione è senz’altro il loro talento per la scienza, un campo dove si potrebbe colmare più facilmente il divario fra est e ovest. Non mancano le iniziative a questo riguardo. Nel novembre del 2003, a Budapest, è stato organizzato il Forum mondiale della scienza con il compito di creare una rete globale e permanente per la comunità degli scienziati, capace di fornire regolari contributi al processo decisionale in materia di scienza e tecnologia . Ma facciamo un tuffo nella storia per capire meglio tutto ciò che entusiasma e tormenta la società di quei quindici milioni di ungheresi di cui due terzi soltanto vivono nel paese, gli altri negli stati confinanti o sparsi nel mondo fra Europa occidentale e le Americhe. L’imperatore Sigismondo di Lussemburgo voleva essere sepolto nella città di Nagyvárad, oggi Oradea, per giacere nei pressi delle reliquie del re cavaliere Lászlò, uno dei santi ungheresi più popolari nell’Europa medioevale. Erano tempi in cui un europeo si sentiva a casa ad Aquisgrana come in una città della Transilvania che oggi si trova in un paese, la Romania, che ancora non fa parte dei dieci che aderiranno prossimamente all’Unione. Nei tempi di Sigismondo Nagyvárad era una città fiorente all’interno del Regno Magiaro, un centro ecclesiale, artigianale, scientifico ed artistico, e comprendeva pure una viva comunità italiana. Gli italiani vi furono insediati dal re dopo l’invasione mongola dell’anno 1241 per aiutare nella ricostruzione del paese. Certo, la geografia politica e culturale d’Europa era a quei tempi ben diversa e gli ungheresi coltivano una viva memoria storica di quell’unità politica, religiosa e culturale che è stata più volte frantumata in tutti i sensi durante i secoli. Gli ungheresi divennero un popolo europeo nel senso politico e culturale della parola attorno al 900, quando provenienti dalle steppe sud orientali, attraversarono la catena montuosa dei Carpazi. Trovarono nella regione del Danubio denominata Pannonia terre fertili e accoglienti su cui si stabilirono. Erano sette le tribù riunite che suggellarono la loro appartenenza ad un unico popolo pur distinte tra loro: l’Ungheria nacque allora, su di un Patto di sangue. Nell’anno 1000 Stefano, chiese ed ottenne dal papa Silvestro II la corona, diventando primo re d’Ungheria. Essa non solo è da allora il simbolo dell’unità della nazione, ma il segno visibile dell’offerta del popolo e della terra ungherese a Maria, fatta solennemente dal re Stefano Signora degli ungheresi. Da allora si avviò in tutto il paese un processo di cristianizzazione che farà sentire i suoi effetti in tanti campi, dal religioso, al civile al politico. Con Stefano nasce l’identità cristiana degli ungheresi. Nella sua figura emergono i tratti fortemente cristiani che fanno di lui il primo grande santo ungherese. Egli prende delle decisioni importanti che influiranno sullo sviluppo del paese lungo i secoli. Si schiera con la chiesa latina giurando fedeltà al papa, ma mantiene buoni rapporti anche con la chiesa greca, e per questo è stato proclamato santo, recentemente, anche da quella. Nel Piccolo libro sulla formazione dei costumi, scritto per il figlio Emerico, si legge: Tu, figlio mio, ogni volta che ti rechi al tempio di Dio, fa’ in modo di adorare Dio come Salomone, figlio del re, e tu stesso, come re, di’ sempre: Manda, o Signore, la sapienza dall’alto della tua grandezza, perché sia con me e con me lavori, affinché io sappia che cosa sia gradito davanti a te in ogni tempo. Oggi si cita spesso la sua sapiente raccomandazione sull’ospitalità: Un paese di una lingua sola ed un costume solo è debole e fragile , per cui ti raccomando, figlio mio, di proteggere ed apprezzare i forestieri con benevolenza. Chi potrebbe negare l’attualità di queste parole non soltanto per l’Ungheria ma per l’Europa intera? Infatti, la pianura del Danubio e del Tibisco fu sempre un crocevia di popoli. Gli ungheresi divennero per definizione difensori della cristianità lungo i secoli, finché, non potendo resistere all’attacco ottomano, dopo un mezzo millennio di autonomia politica, nel 1541, il Regno Magiaro perse la sua indipendenza e si spezzò in tre parti. Seguirono secoli amari di sottomissione al potere del sultano prima, poi degli Asburgo e infine dei signori del Cremlino. Quando, dopo la prima guerra mondiale, l’Ungheria riacquista la sua indipendenza deve pagare un prezzo altissimo: perde due terzi dei suoi territori storici e cinque milioni di ungheresi su dieci si ritrovano fuori della patria, nei paesi confinanti. Gli ungheresi nutrono la grande speranza di ritrovare l’unità nazionale nell’ambito dell’Ue, ma questo si potrà realizzare proprio con il suo imminente allargamento. UN POPOLO DI INVENTORI Lo spirito di ricerca e d’impresa non manca nella storia dei magiari. Fra i numerosi Premi Nobel (16) ne ricordiamo due. Szeged, la bella città dell’Ungheria meridionale, si vanta di essere stata la patria del grande chimico Albert Szent-Györgyi (1893-1986). A lui si deve la scoperta nel peperone, della fonte dell’acido ascorbico che ha fermato le morti per scorbuto, una malattia che aveva ucciso migliaia di marinai e che oggi è noto come vitamina C. Per gli esperimenti occorreva disporre di una certa quantità della sostanza e Szent-Györgyi scoprì che proprio i peperoni, coltivati su larga scala intorno a Szeged, dove insegnava, ne avevano una elevata concentrazione. Per queste sue ricerche Szent-Györgyi ebbe il premio Nobel per la medicina nel 1937. Un altro premiato, l’ultimo della serie, è lo scrittore Imre Kertész, vincitore del premio Nobel per la letteratura del 2002 per il suo romanzo Essere senza destino, che narra la storia di un ragazzino deportato ad Auschwitz. Il romanzo elabora le esperienze personali dell’autore, deportato all’età di quattordici anni da Budapest e sopravvissuto ai campi di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Kertész tematizza un argomento che suscita ancora la sensibilità di tanti in Ungheria: l’ebraismo e l’identità ebraica, argomenti che erano un tabù durante il regime comunista. La figura e l’opera di Kertész ci fanno intuire le pagine meno luminose della storia ungherese. L’Ungheria, infatti, ospita la comunità ebraica più numerosa dei paesi dell’est. EUROPA: IL POSTO NATURALE DELL’UNGHERIA Abbiamo chiesto a Enikö Györi, ex ambasciatrice d’Ungheria in Italia, con quale animo si stia affrontando l’entrata nell’Unione europea in Ungheria oggi. Noi ungheresi viviamo l’ingresso nell’Unione come un ritorno nel nostro contesto naturale. Dobbiamo riparare ad una decisione sbagliata del ’45, presa da poteri estranei, sulla divisione del mondo. L’allargamento è una necessità storica. Sono passati quattordici anni dal crollo del muro di Berlino, ed abbiamo dietro le spalle un cammino difficile e fruttuoso di crescita in tutti i sensi. Certo, non c’è più l’euforia dei primi tempi della libertà ritrovata che si esprimeva, allora, in un vero movimento di massa. Oggi c’è più sobrietà, ma si incontra anche un po’ di scetticismo. Siamo rimasti fuori dalla linea principale dello sviluppo europeo e i cittadini ungheresi hanno dovuto pagare un prezzo notevole per il recupero. E si dovranno affrontare sacrifici nuovi giacché non saremo, nell’Unione, del tutto sullo stesso livello. Dalle trattative siamo usciti svantaggiati e, almeno nel periodo iniziale, non si potrà parlare di pari opportunità. Secondo gli obblighi derivanti dagli accordi di Copenaghen per i coltivatori ungheresi ci vorranno dieci anni per avere le stesse condizioni sul mercato dei loro colleghi della parte occidentale dell’Unione. L’Ungheria, dopo l’adesione, dovrà aspettare tre anni per avere pari accesso ai Fondi strutturali e ai progetti del Fondo di coesione. Quindi per noi l’Europa a due velocità non è una scelta ma una realtà. I cittadini sanno questo e ci saranno più o meno larghi strati della popolazione, specialmente fra i coltivatori diretti e piccoli imprenditori agricoli che affrontano l’adesione con una buona dose d’ansia. Ma, a lungo andare l’Ungheria sarà sicuramente avvantaggiata. Ci aspetta un lavoro duro e assiduo e si dovrà acquisire, in un certo senso, una mentalità nuova, giacché l’accesso ai finanziamenti è maggiormente legato alla partecipazione ai concorsi. E questo processo è già ora in atto, ci sono comuni che hanno operato, negli anni passati, dei veri miracoli. Bisogna avere una buona dose di buon senso, lavorare assiduamente, sfruttare le possibilità che l’Unione ci offre. IL MOVIMENTO DEI FOCOLARI IN UNGHERIA Dalla primavera del 1949 l’Ungheria fu risucchiata tra gli stati satelliti dell’Unione sovietica. La dittatura comunista spinse il popolo ad una continua reazione per i valori di solidarietà e libertà, culminati con i fatti di Budapest del 23 ottobre 1956. Gli avvenimenti successivi sono noti a tutti: la Rivoluzione fu soffocata, diventando un sogno sepolto e il mondo sentì il grido accorato e di dolore del papa Pio XII: Dio, Dio, Dio!. Sul numero di Città nuova del 15/1/1957 è riportato: Siamo stati a Vienna. Abbiamo avvicinato gruppi di profughi. Il mondo ha veramente sentito la tragedia di quel popolo ed è corso in suo aiuto. I profughi infatti hanno potuto avere tante cose: cibi, dolci, vestiario, rifugio, cortesia, soprattutto respiro di libertà. Uno di noi ha avvicinato un ragazzo di sedici anni.Teneva ancora la sua pistola. Era stato ferito in un combattimento e si mostrava orgoglioso d’averne uccisi sedici. Ma quando ci si interessò di lui più profondamente, cominciò a piangere e manifestò il desiderio di tornare a vedere la mamma. Gli fu chiesto se conoscesse Dio. Rispose decisamente di no. (…) C’è stata dunque una società capace di togliere il nome di Dio, la realtà di Dio, la provvidenza di Dio, l’amore di Dio dal cuore degli uomini. Ci deve essere una società capace di rimetterlo al suo posto. Dio c’è, c’è, c’è. Nacquero in quella circostanza i volontari di Dio, la più laica delle vocazioni del Movimento dei focolari, composta da persone pronte a tutto per irradiare il Vangelo nei vari ambienti sociali. E sarà proprio Budapest, in occasione del loro 50.mo anniversario che si celebrerà nel 2006, a fare da palcoscenico alla manifestazione internazionale del Volontarifest. Sempre in quegli oscuri anni del regime comunista, si avvertì in tutta Europa la preoccupazione e il lavoro nascosto di tanti per la chiesa del silenzio. Tra i primi focolarini e focolarine che si spinsero nei vari paesi oltrecortina ci fu anche Chiara Lubich, che nel 1961 fece una breve visita a Budapest. Da allora, grazie anche al contatto con i paesi limitrofi, il Movimento dei focolari ha gettato le sue radici in questa terra. Riferendosi al ruolo che i movimenti e le comunità ecclesiali svolgono nella chiesa universale e in quella ungherese, il card. Péter Erdö, primate d’Ungheria, ha sottolineato in una recente intervista che non sono solo importanti perché presentano gusti, stili diversi, ma perché trasmettono vere, primarie, autentiche esperienze di religione. La fede sempre è stata trasmessa in questo modo: persone veramente credenti, affascinate che hanno donato la luce della fede agli altri. Ai nostri occhi i focolarini sono il movimento più autentico e vigoroso in Ungheria, in quanto ha già un grande passato dietro le spalle. Non ha infatti iniziato la sua attività solamente dopo il cambiamento del regime, ma la comunità ha rischiato lavorando tra i fedeli dell’Ungheria già parecchi anni prima. Credo che di questo possiamo esser grati tutti quanti.