Magia dei Vivarini

A Conegliano, a Palazzo Sarcinelli, la rassegna sui Vivarini. Dopo Il Cinquecento inquieto  e i Carpaccio, la prima rassegna internazionale sulla famiglia di pittori veneziani del Quattrocento
Vivarini

Ci sono genialità che il grande pubblico non conosce,  ma che hanno fatto la storia dell’arte italiana. E sono i Vivarini, famiglia di pittori  proveniente dall’isola di Murano e poi trasferiti a Venezia a sfornare tavole per la devozione privata, polittici per il bacino Adriatico e la terraferma di dominio veneziano, da Bergamo alla Croazia alla Puglia. Solo temi religiosi, per committenza e forse anche per convinzione. Ma che capolavori, che toni squillanti di colori, che storia soprattutto: dalle preziosità del Tardogotico del capostipite Antonio alle suggestioni del Mantegna e di Donatello del fratello Bartolomeo fino alle sconvolgenti intuizioni del nipote Alvise, morto prematuramente nel 1505, scorre mezzo secolo e più di arte veneziana: un controcanto all’altra grande bottega familiare, quella dei Bellini.

 

 

E, guarda caso, sarà utile nella stupenda rassegna coneglianese che raduna ben  35 opere dei Muranesi, addirittura dall’Istria e dalla Dalmazia,   percorrere un viaggio inverso al solito, cioè iniziare dalla fine. Per cogliere il cammino lunghissimo e in ascesa compiuto dai Vivarini e rammaricarsi che la loro eredità, a differenza del Bellini, sia rimasta chiusa dalla morte precoce di Alvise.

 

 Eccolo Alvise, che si lascia incantare da Antonello e da Giambellino, ma rimane sé stesso con una decisa personalità, com’è dei grandi. Il piccolo San Antonio dietro il poggiolo (come s’usava per i ritratti), è ritratto di un uomo spirituale, un profilo fine contro il cielo azzurro, il giglio in mano, immagine di purezza di forme e di contenuto. Aristocrazia del corpo e dello spirito, che è la cifra tipica dei Vivarini in questa tavoletta  dove i l santo è ripreso dalla grande Sacra Conversazione alle Gallerie dell’Accademia veneziana, ma qui isolato come religione alta e trasparente.

 

E’ questa una caratteristica di Alvise: lo si nota pure nel ritratto a figura intera del Cristo portacroce, altissimo sull’infinito paesaggio retrostante. Alvise infatti non è solo pittore di corpi, di figure, ma di natura.

 

Si arriva perciò allo sconvolgente Cristo  risorto di san Giovanni in Bragora  a Venezia. C’è il ricordo certo di Antonello o di Cima (San Sebastiano a Dresda e a Strasburgo), ma la torsione del busto roseo, che si eleva sui due giovani soldati contro i l cielo azzurro a dire la vittoria è meravigliosa. Come l’aurora fiammeggiante lontana, che certo Girogione ha avuto presente quando ha dipinto  I Tre Filosofi viennesi. E forse Tiziano, per la sua Resurrezione bresciana, si è ricordato del Cristo e forse Lotto, magari discepolo dei Vivarini, pure nel volto del Redentore così  serio.

 

 

Dove potesse arrivare infine Alvise lo si nota nella misteriosa e fulgida Sacra Conversazione di Amiens, anno 1500, en plein air, come accadrà più tardi a Tiziano, col bambino che discute animatamente coi santi  entro una natura di soave bellezza.

 

Quanta strada, i Vivarini.

 

Aveva iniziato Antonio, immerso nell’aria magica del Tardogotico, nel  Polittico di Parenzo (1440), una trama delicatissima  su fondo oro di santi come cavalieri gentili, per continuare con la regale Madonna col bambino dai vestiti preziosi e con quel Cristo sul sepolcro (Bologna) dove finezza di disegno e di colore arrivano ad un capolavoro di religiosità composta e intima, non urlata come quella del conterraneo Carlo Crivelli.

 

 

Il fratello Bartolomeo scava più a fondo, sulle orme di Mantegna e di Donatello con una linea spigolosa, volti e corpi segnati, colori squillanti e bronzei, figure laminate, giungendo nella Pala di Capodimonte  a Napoli a superare la tradizionale divisione del polittico in più ante per unificarla i n un unico “concerto”, aprendo la via a Giambellino. Anzi distanziandosene quanto a visione, come accade nella Madonna col bambino dormiente a Napoli : in Bartolomeo è un sonno dolcissimo, in Giovanni nella tela all’Accademia un sonno presago di morte. Ma Bartolomeo non ha paura della morte, perché sembra immerso sempre in un’aura paradisiaca, di serena dolcezza come  i suoi guerrieri  e i suoi santi. Si veda il San Michele nel polittico di Scanzo, tranquillo soldato biondo attraversato da bagliori nell’armatura entro una linea dolcissima o la Vergine nella Sacra Conversazione  di Bari, collocata con i santi dentro un giardino merlato, di cui si ricorderà Cima da Conegliano.

 

 

Quanta poesia, della linea, del colore e della luce, così tersa, cristallina. E’ un altro Rinascimento sicuramente, quello di un mondo umano e di una natura posta sotto il raggio trasparente che scolpisce le figure, ma pure le addolcisce. Siamo con i Vivarini in un mondo magico, nobilissimo, pieno di soavità, di grazia e di nobile fortezza. Per questo, la rassegna è da non perdere.

 

 

(catalogo Marsilio). Fino al 5/6

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